Andrea Appino: “Grande Raccordo Animale”. La recensione

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A due anni di distanza da “Il testamento“, suo primo disco solista che gli è valso una Targa Tenco come miglior opera prima, Andrea Appino torna con il nuovo album “Grande raccordo animale“, scritto tra New York e le isole del Nord Africa e prodotto da Paolo Baldini, uno dei produttori reggae più importanti d’Europa.

Dopo la prima anticipazione del disco con il brano “Rockstar“, il disco di Appino sarà seguito da un tour in tutta Italia, che partirà il 2 giugno da Ivrea e terminerà il 5 settembre al Rockereto di Roevereto sulla Secchia (Modena), tour preceduto da un instore tour negli store Feltrinelli di mezza Italia. Una occasione per poter scambiare quattro chiacchiere con Appino ed ascoltare questo fantastico disco dal vivo.

Essì, perché “Grande raccordo animale” spiazza completamente gli ascoltatori, presentando un Appino completamente diverso dall’usuale in una versione cantautorale dove il frontman dei Zen Circus racconta in modo lucido e risoluto la società di oggi, senza risparmiare niente e nessuno, in un susseguirsi di emozioni e stili per tutte le 11 canzoni del disco.

Grande Raccordo Animale” comincia con “Ulisse“, la metafora perfetta del viaggio verso una meta desiderata e lontana raggiunta dopo anni tenaci e difficili, di sofferenze e di perdite, meta che poi si lascia per la mania stessa di viaggiare, come nella tesi di De Crescenzo, o perché Itaca ormai non esiste più, viaggiando tra pop e reggae. Subito dopo troviamo la bellissima “Rockstar“, una classica ballata che fotografa in maniera semplice ma netta e sincera la vita decaduta di una rockstar ormai persa tra i banconi del bar ed i propri ricordi e rimpianti.

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Andrea Appino – “Grande raccordo animale” – Artwork

Con la title track “Grande Raccordo Animale” ci viene presentata la società di oggi, imbottigliata in tragitti predefiniti e senza meta e noi viaggiatori in tondo attorno ad un centro che alla fine del tragitto torniamo al punto di partenza, il tutto descritto con uno stile moderno e sperimentale, soprattutto nella coda della canzone. Il rock comincia a fare capolino in “New York“, canzone trascinante che parla di una relazione finita male e di come si possa ripartire dalla fine di una storia.

La volpe e l’elefante” è un po’ il brano manifesto del disco, una fusione di stili e suoni, un brano di pura sperimentazione anche linguistica, dove rock, reggae ed elettronica si mescolano per raccontare una sorta di filastrocca sull’eterna lotta tra la furbizia e la saggezza: nella successiva “Linea guida generale” la linea di basso segna il tempo di un rock primigenio in cui si rivendica l’indipendenza a non essere giudicati ed a vivere la propria vita e provare qualcosa anche se c’è il rischio di fallimento (“ecco una linea guida generale/lascio i giudici a blaterare/tu fai tutto come lo vuoi fare/se non funziona lo potrai cambiare”).

Con la ballata “L’isola di Utopia” ci si rifà alla teoria di Thomas More del 1516, l’esistenza di questo luogo felice in qualche parte del mondo dove il fine principale dell’uomo era il benessere comune: Appino compone il suo personale “Credo”, fatto di cose reali che ci circondano e di pensieri positivi: subito dopo si eleva con “Nabuco Donosor“, aperta da un fantastico arpeggio, una canzone d’amore sulle canzoni d’amore in cui tutti ci riconosciamo anche se non hanno nome e cognome.

Con “Buon anno (il guastafeste)” la chitarra ed il violino disegnano le parole amare di una persona che ha perso qualcosa di importante l’anno scorso e non ha nessuna voglia di festeggiare e pensare al futuro ed il disco si avvia verso la fine: il tempo di osservare con l’elettronica di “Galassia” il dualismo dell’animo umano e di parlare di politica e di se stessi con “Tropico del Cancro” (che ricorda molto da vicino “Il lavoro mobilita l’uomo” dello stesso Appino) e questo disco è giunto al termine.

Dopo lo strepitoso successo del primo disco, Appino torna con un nuovo album capace di spiazzare e commuovere: “Grande raccordo animale” è un piccolo gioiello, un disco capace di raccontare e scavare dentro l’ascoltatore raccontando storie di tutti (o almeno di molti) senza mai essere banale e scontato e colpendo per le scelte melodiche, sempre felici e indovinate (una citazione a parte la meritano il singolo “Rockstar” e la bellissima e sognante “Nabuco Donosor“). Un disco che centra il bersaglio al primo colpo e che ci fa ritrovare un grande talento musicale odierno. Un disco che si candida ad essere uno dei migliori del 2015.

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