Baustelle: “Fantasma”. La recensione

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I Baustelle si sono segnalati nel tempo come una delle band alternative italiane più interessanti, già col loro primo album “Sussidiario della giovinezza” e poi via via nel tempo, grazie al loro impasto musicale e alla scrittura sempre fervida e particolare di Francesco Bianconi: il loro nuovo disco “Fantasma” non fa eccezione.
I Baustelle sono passati dalla musica alternative rock al geghegè passando per il pop-rock ed il beat, fino ad approdare alla musica d’autore. Ed in questo disco segnano un ulteriore cambio di genere, arrivando quasi a sfiorare la musica sacra. Certo, per i vecchi fan del gruppo c’è da rimanere a dir poco spiazzati: un lavoro di ben 19 tracce che inizia con una declamazione in prosa e musica come “Nessuno” che ricorda molto da vicino “La buona Novella” di De Andrè spiazzerebbe chiunque nel mercato musicale di oggi. Il disco prosegue in maniera quasi lineare con “La morte (non esiste più)“, scelta come singolo e che strizza l’occhio al pop inglese.

Dopo l’intermezzo musicale di “Nessuno muore” ecco che arriva “Diorama”, canzone che continua sul solco del racconto musicato e che mostra una dote di scrittura davvero notevole insieme ad una musica che funge in maniera ottimale da sottofondo: il problema però sorge con la lunghezza delle canzoni e con una certa monotonia nel disco, almeno nella sua prima parte, monotonia che potrebbe portare un ascoltatore non amante del gruppo alla noia e allo spegnimento del lettore.

Baustelle - "Fantasma" - Artwork
Baustelle – “Fantasma” – Artwork

Il gruppo mostra tutta la sua teatralità e la sua melodrammaticità e le influenze sixties che ancora pervadono la sua musica con “Monumentale”, che vede finalmente la bella voce di Rachele Bastrenghi. L’apice del disco, almeno secondo me, è raggiunto da “Il finale”, canzone che ha come sottotitolo (ovvero Olivier Messinen davanti a ufficiali e prigionieri nel campo di concentramento, un istante prima di eseguire “Quatour pour la fin du temps”), un pezzo commovente per il suo modo di raccontare l’amore ai tempi dell’Olocausto.

Il disco prosegue tra canzoni bellissime (“La natura” e “Il futuro”) e canzoni che sembrano solo scuse per raccontare qualcosa di sé e della propria visione del mondo (“Maya colpisce ancora” e “L’orizzonte degli eventi” su tutte) fino ad una invasione nel canto romanesco e nel racconto di una storia di strada alla Pasolini con “Conta l’inverni” fino alla fine inusitatamente elettrica dei titoli di coda e che ricorda la musica dei telefilm degli anni ’70.

Cosa dire… il disco potrebbe avere due giudizi: o essere di una “noia mortale” (come sentito commentare anche da qualche addetto ai lavori) oppure essere un mezzo capolavoro sospeso tra la musica d’autore alla De Andrè e alcuni lavori del rock italiani agli inizi degli anni ’70 come “Terra in bocca” dei Giganti. Io propendo per una via di mezzo tra queste due possibili definizioni, perché il disco vive di episodi spesso staccati tra loro da intermezzi musicali. Ma confesso che l’impressione che ne ho ricavato è che la musica sia stata solo la “scusa” per raccontare un universo catastrofico-letterario che i Baustelle avevano in mente e da cui l’umanità ne esce devastata e ridicolizzata nelle sue fragili e oscene piccolezze. Un disco da leggere più che da ascoltare. Quasi un disco di altri tempi.

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