Electroadda: “Electroadda”. La recensione

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E’ uscito “Electroadda“, il primo EP di inediti degli omonimi Electroadda, duo milanese composto da Carlo Frigerio alla batteria e da Leonardo Ronchi alla chitarra e voce. Gli Electroadda nascono nel lontano 2004, praticamente per caso, dopo una jam session in una sala prove: i due componenti del gruppo scelgono il nome della band verso la fine del 2013, anno in cui giunge finalmente la decisione di suonare dal vivo.

Sebbene i componenti suonino anche altri strumenti come tastiere e synth e che abbiano svariati gusti musicali, nel tempo gli Electroadda hanno sviluppato una tendenza prevalentemente electro rock. Lo stile del cantato può facilmente avere definizioni anche grunge, mentre il sound è diretto e compatto ed è arricchito da atmosfere psichedeliche. Il duo fa grande uso dell’elettronica per creare un muro di suono dal potente impatto e che fa pensare che la band sia composta di più di due elementi.

Anticipato dal singolo “A better life“, gli Electroadda portano al grande pubblico la loro prima fatica musicale vera e propria: il disco si presenta con un semplice packaging cartonato bianco e privo di indicazioni salvo una semplice scritta “Electroadda”, riportata al centro della cover. Nella back cover troviamo una piccola piramide creata dai colori primari, che evolvono nell’inlay grazie al cerchio cromatico che sta alla base della teoria dei colori. Questo contrapporsi spiega un pochino cosa vogliano comunicare gli Electroadda con la loro musica.

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L’EP si apre con “A better life“, brano dove il synth la fa da padrona e siamo trascinati in un universo colorato e quasi onirico, come un viaggio in campagna con la corriera in un giorno di primavera inoltrata. Dal psico-electro rock passiamo al classick rock di “Star Girl“, brano caratterizzato da un riff portante molto southern rock e da un cantato sfumato che richiamano altre esperienze musicali (Bud Spencer Blues Explosion, per fare un nome) dall’odore di zolfo, birra e sudore. La batteria elettronica di “Rabbits’hill”  ci accoglie in un universo onirico dal vago sapore pinkfloydiano e ci porta verso una evoluzione costante con continui cambi di ritmo, di strumentazione e di stile, un classico per un brano così composito e particolare. L’EP termina praticamente con una canzone divisa in due parti: prima troviamo “Tired intro“, una introduzione prettamente strumentale molto elettronica e rarefatta, e poi troviamo “Tired“, aperta da un arpeggio molto pulito di chitarra slide, una rock ballad nella sua forma più pura, ovvera quella del blues, tranne poi incattivirsi nel ritornello con un rock più robusto e terminare con una coda pseudo grunge.

Certo, con quattro brani non è che si possa dire molto di un gruppo, ma da quel poco che abbiamo ascoltato gli Electroadda sembrano avere tutte le carte in regola per essere tenuti sott’occhio per lo sviluppo di questo EP in un disco vero e proprio: le idee ci sono, i suoni pure, la tecnica non manca e sono certo che il duo lombardo darà parlare di sè in futuro. Al momento spendiamo un pollice in su per loro sperando non siano uno dei tanti fuochi di paglia nella travagliata storia del rock italiano.

 

 

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