Fatte e rifatte: We can work it out dei Beatles

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Buongiorno a tutti, proseguiamo con il nostro viaggio nel mondo delle cover andando stavolta a scomodare un mostro sacro come i Beatles e un loro grande successo come “We can work it out“.

We Can Work It Out” è un brano scritto da Paul McCartney e John Lennon nel 1965; pubblicato dai Beatles come “secondo lato A” del singolo “Day Tripper“, considerato una delle migliori testimonianze della vena compositiva del duo Lennon-McCartney, una ballata acustica che parla di come, anche se una storia d’amore finisce, si può sempre sopravvivere.
Il disco raggiunse la prima posizione negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, mentre in Italia raggiunse al massimo il settimo posto.

Eccovi la versione originale dei Beatles.

La cover più famosa di questo brano possiamo dire tranquillamente che sia quella fatta da Stevie Wonder nel 1970, tratta dall’album “Signed, Sealed, and Delivered“, con una forte venatura funk.

A questo brano si è anche accostato un altro gruppo storico, ma di un altro genere, l’hard rock: parliamo dei Deep Purple, che hanno trasformato il pezzo in una cavalcata rock e dalle note fortemente progressive, inserendolo nel disco “The Book of Taliesyn“.

Altro gruppo che ha voluto reinterpretare questo pezzo sono i Tesla, un gruppo hard & heavy statunitense che ha deciso di suonare il pezzo in versione acustica nel loro live “Five Man Acoustical Jam“.

Ci spostiamo completamente di genere e di nazione per andare a trovare Noa e la cantante palestinese Mira Awad, che hanno cantato questo pezzo insieme per l’album di Noa del 2002 “Now“, impregnando il pezzo di influenze mediorientali e arabeggianti.

Questa canzone è stata anche oggetto di versioni più dolci e intimiste, come quella di Petula Clark, in pieno stile anni ’60.

L’ultima versione che andremo ad ascoltare è quella dei Four Seasons, del 1976, in pieno stile pop-rock, con qualche spruzzata di doo-wop e di progressive rock.

Come al solito, ora la palla tocca a voi: diteci quale versione vi è piaciuta di più.

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