How To Destroy Angels : “Welcome Oblivion”. La recensione

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How To Destroy Angels - Welcome Oblivion - Artwork

Welcome Oblivion non promette niente di buono dal punto di vista di parole e suoni, ma purtroppo quest’opinione sterile riguarda chi si ferma o al primo aspetto o al primo ascolto. “Welcome Oblivion” è figlio dell’era digitale, è figlio di nuovi strumenti ed è il frutto della sperimentazione musicale che da più di 20 anni è nell’interesse del padre creatore di questa formazione. Un album ricco di significato, che se fosse stato un film sarebbe stato di quei colossal ricchi di effetti speciali, e che non essendo un film, lo definiremmo un album pieno di effetti sonori, di sfumature e di distorsioni. Ciò che ci interessa di tutto questo è sempre il concetto che ruota intorno al concepimento di un album come questo.
Gli How To Destroy Angels sono l’hobby di Trent Reznor, leader dei Nine Inch Nails,  il quale prova gusto a premere un tasto più a lungo per vedere “l’effetto che fa“. La didattica musicale di Trent segue sempre il filone classico per eccellenza, per poi evolversi in qualcosa di inimmaginabile e meravigliosamente terrificante.

L’esperienza How To Destroy Angels non è di certo novellina di musica, in realtà si trova al primo album dopo un po’ di anni di sperimentazioni musicali ad opera di Trent Reznor, Mariqueen Maanding, sua moglie, e il compositore Atticus Ross, collaboratore di Trent già dai tempi della soundtrack di The Social Network. In effetti le ambientazioni di questa musica sono tutte di Fincher, ma questa è una digressione solo per i fantasisti immaginari. L’ambientazione è tragica, ma non di quel tragico senza scampo, in realtà è di quel tragico dark che ti attira, ti risucchia, e non si sa che fine ti farà fare. Per quanto possibile l’ascolto di Welcome Oblivion ci risucchia e ci porta in un’ambientazione post apocalittica, che per quanto sterile possa essere in realtà è l’ambientazione giusta per questo tipo di

How To Destroy Angels – Welcome Oblivion – Artwork

suoni freddi ma dal grande calore comunicativo. Un suono pieno, ricco e completo quello che porta Welcome Oblivion, che si rende raffinato grazie alla voce di Mariqueen tanto delicata e tanto struggente. Outsider del disco è Ice Age, non bisogna approfondire nulla, bisogna solo di invitarvi all’ascolto perché è uno dei pochi brani che offre la quiete dopo la tempesta. Ciò che ci sorprende ultimamente è che le produzioni discografiche di grande successo siano sempre opera di chi è già in musica e di chi da tempo ci regala discografia di grande qualità. Tutto appare come la digressione delle opere principali, una stanza piccola che si apre su di un lungo corridoio, un giardino che si apre in un blocco di cemento, o semplicemente come una sperimentazione in più sull’album opera prima.

Si, gli How To Destroy Angels ci ricordano il gruppo madre dei Nine Inch Nails, ma non come una copia, semplicemente come una diversa chiave di lettura, come un’interpretazione dell’Industrial da un altro punto di vista. How long è una piacevole parentesi con un accenno di melodia che probabilmente lascia spazio a quell’aspetto più tranquillo degli How To Destroy Angels. Difficile il momento per esordire, soprattutto con un genere amato più di 10 anni fa, ma probabilmente la freschezza con la quale viene trattata l’elettronica da strapazzo attirerà l’attenzione di un pubblico anche più ampio. Il colore di questo album è indefinito, è così pieno di sfumature che non ha una luce ben chiara, ha soltanto dei confusi momenti di buio. Non grigio, né nero, ma indefinito come del resto lo è il panorama industrial attuale. La propensione ad allungarsi verso nuovi lidi musicali probabilmente non è la prerogativa della formazione di Reznor, ma al momento rientra tra gli esordi più decisi degli ultimi tempi. Un esordio di carattere quello di Welcome Oblivion, un carattere ormai spinto dal disastro e dalla modernità tragica.

 

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