Iggy Pop and the Stooges: “Ready to die”. La recensione

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Iggy Pop and the Stooges - "Ready to die" - Artwork

Non posso negarlo, quando tra le uscite discografiche ho visto “Iggy Pop and the Stooges – Ready to die” sono stato molto curioso. Un ritorno del genere merita una certa attenzione e non sapevo cosa aspettarmi, visti alcuni ultimi lavori come “Préliminaires” e “Après” non proprio eccellenti.

E’ quindi con un certo timore misto a sospetto che mi sono interfacciato a questo disco, l’ennesimo della carriera dell’Iguana, il primo con James Williamson alla chitarra dopo la morte di Ron Asheton nel 2009, un ritorno con la formazione storica della sua giovinezza, con Scott Asheton alla batteria, Mike Watt al basso ed il quinto membro onorario Stooge Steve Mackay al sax.

Partiamo subito da un presupposto: chi vuole l’Iggy sporco, cattivo e politicamente scorretto lo avrà già dalla copertina e da canzoni come “DD’s” (canzone dedicate ad una misura di seno femminile). Chi vuole l’Iggy punkettaro e pietra storia del rock… beh, quello probabilmente non lo avrà.

Forse era impossibile aspettarsi una resurrezione della musica suonata in dischi come “Raw power“, “The Stooges” e “Fun House“.  Ma forse era lecito aspettarsi un qualcosina di più rispetto ad un compitino ben fatto che non smuove nulla dalle ultime performance discografiche e che non possono aggiungere qualcosa di positivo ad una carriera che avrebbe del leggendario se non tentasse di sminuire se stessa ogni volta con lavori appena sufficienti e che sembra tentino di recuperare brani degli anni che furono.

Iggy Pop and the Stooges - "Ready to die" - Artwork
Iggy Pop and the Stooges – “Ready to die” – Artwork

Detto tutto questo, il disco è comunque un discreto lavoro di punk con punte di bellezza curiosamente nei punti più lenti: la ballad baritonale “Unfriendly World” sembra uscita dalla penna di Leonard Cohen mentre “Beat that guy” richiama alla memoria Johnny Cash e Tom Petty e la loro crudezza da crooner; “The Departed” è una camminata a passi lenti nella memoria a ritmo di marcetta che si chiude con il riff finale di un pezzo classico degli Stooges, “I wanna be your dog“, riff creato da Asheton e che qui suona come un saluto all’amico chitarrista, innalzando inaspettatamente il livello del disco.

Non mancano gli episodi più sapidi e senza peli sulla sangue, come da tradizione diremmo, con la già citata “DD’s“, “Job” riguardo a quanto possa fare pena lavorare e “Dirty deal”, un duro attacco alla cultura discografica, ma suonano in questo disco come provocazioni vuote e senza forza, fatte per reggere il personaggio e poco altro.

Ready to die” non riesce nell’operazione “rifacciamoci un’immagine da sporchi duri e cattivi” e nemmeno gli Stooges ci restituiscono un Iggy Pop in piena forma, anche se il passo rispetto al precedente “The weirdness” è completamente altra cosa. La morte di Asheton e i 66 anni sulla carta d’identità devono aver pesato non poco sulla stesura del disco e si sentono tutti, perché il disco aleggia di una stanchezza consapevole, di un rendersi conto del passaggio del tempo e di averlo accettato senza però smettere di voler fare i cretini e gli ignoranti. E non capisco se sia per lo show system o per una propria incapacità di accettare la cosa serenamente. In entrambi i casi, c’è qualcosa che stroppia e che tocca. Perché un disco di punk non può uscirsene con ballad così strazianti da tentare la via della lacrimuccia. A meno che un certo senso di consapevolezza ogni tanto faccia capolino e faccia rendersi conto che la vita passa per tutti, anche per chi è convinto di essere ancora una macchina da rock and roll con gli addominali ancora tirati, i vestiti sudati e i capelli lunghi e folti. Anche per te, Iggy.

 

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