Pet Shop Boys: “Super”. La recensione

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Quando una band iconica come i Pet Shop Boys, che ha influenzato nel corso della sua trentennale carriera artisti come Madonna, Take That, The Killers e Robbie Williams, decide di comporre un nuovo disco tutti gli addetti del settore sono certi di una cosa: quell’album sta per definire la nuova tendenza musicale di quell’anno.

La premiata coppia Neil Tennant-Chris Lowe è infatti sempre riuscita ad anticipare le mode musicali con una lucidità fuori dal comune: è stato così ai tempi della moda anni ’80 di “Paninaro“, è stato così anche per le musiche ispirate all’est Europa con “Go west!“, è stato così per la moda spagnoleggiante di “Se a vida è“, è stato così per il jazz di “New York city boy” e per il pop raffinato di “Home and dry” ed è così anche per questo nuovo lavoro, “Super“.

Super“, il tredicesimo disco del duo synthpop Pet Shop Boys, prodotto da Stuart Price e distribuito dalla etichetta della band, la X2, è stato anticipato dai singoli “Inner sanctum“, “Happiness“, “The pop kids” e “Twenty-something” e subito i singoli hanno raggiunto le vette delle classifiche debuttando al numero uno della Billboard’s Dance/Electronic Albums chart e diventando il primo album dei Pet Shop Boys a raggiungere la vetta della classifica dai tempi di “Disco 3” (2003).

Ascoltando il disco non ci si stupisce di questa accoglienza: il nuovo lavoro in studio dei PSB, a tre anni di distanza dal precedente “Electric”, subito marca il territorio con il pezzo di apertura “Happiness“, un misto tra melodie catchy nel ritornello (cosa in cui sono stati sempre bravissimi) e lunghi periodi che viaggiano tra trap music e EDM, questo a dimostrazione che i PSB hanno sempre avuto fiuto nell’intercettare le mode del momento ma sempre mettendo il loro marchio di fabbrica. Lo stesso fanno “Pazzo!“, altro brano dance quasi EDM che sfrutta la passione della band per le lingue diverse da quella britannica e “Inner sanctum” che richiama alla mente una canzone come “Children” di Robert Miles.

Cover
Pet Shop Boys – “Super” – Cover

The dictator decides” e “Twenty-something” sono due brani che pescano nel passato della band riproponendo una melodia quasi classica ma trasformata dalla musica synthpop in qualcos’altro e con spesso il parlato invece del cantato ad evidenziare i testi: con “Groovy“, “The pop kids” e “Undertow” facciamo un tuffo nella dance del passato, con tanto di cori anni ’90 che strappano un sorriso e tastiere che disegnano le melodie con pochissime note, in tipica atmosfera dancefloor alla Commodores.

Non mancano i momenti introspettivi e forse sono i momenti migliori del disco intero, come la stupenda e triste “Sad robot world” e la conclusiva “Into thin air” ma anche i momenti puntati in avanti come “Say it to me” che richiama alla mente le ultime produzioni di Justin Bieber con Diplo e “Burn“, un pezzo che mescola vari generi e stili e ne fa un corpo unico che suona in maniera concreta e per niente stonata.

La critica si è trovata concorde con questo nuovo lavoro dei Pet Shop Boys accogliendolo in maniera molto positiva e noi non saremo da meno: “Super” è un ottimo lavoro e mostra come gli anni non siano passati per Tennant e Lowe. Al tredicesimo disco il duo britannico mostra di non aver perso lo smalto e la magia dei tempi migliori e sforna un disco che segna il territorio rispetto alle altre band del genere. I Pet Shop Boys continuano ad essere i pionieri del synthpop ma ogni volta lo contaminano con sapienza per non fargli perdere di originalità e modernità e questa operazione di maquillage musicale riesce ogni volta, sfornando un prodotto accattivante e moderno ma con quel fascino di antico che empatizza subito con l’ascoltatore e lo rende familiare. É un dono che hanno solo i grandi talenti della musica e possiamo affermare con certezza che i PSB rientrano in questa categoria.

 

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