Roam Inside: “Roam inside”. La recensione

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Roam inside - "Roam inside" - Artwork

Roam Inside è il nome, omonimo, del disco di debutto dei Roam Inside, band che ha vinto la Bagana Battle Of The Bands del 2011. Da allora sono passati due anni, tempo che la band ha speso suonando in lungo e in largo per il Nord Italia ed allenandosi in sala prove, da dove è uscito il sound della band, un suono che la stessa dichiara ispirato a gruppi come Black Stone Cherry, Alter Bridge e Nickelback.

La band, composta da cinque membri (Dave Sorrisi alla voce, Marco Bruckelmann alla chitarra, Paolo Bruckelmann al basso, Alessio Dema De Martini alla chitarra e Dario Cani alla  batteria), nasce a Pavia dall’incontro tra i fratelli Bruckelmann, cresciuti tra Germania, Francia ed Italia ed il resto della band, che si incastra come in un puzzle fino all’ultimo tasselli rappresentato da Dave, cantante di origini canadesi.
La genesi di questo gruppo, così variegata e polimorfa, si riflette anche nel suono che propone, che parla “poco”  italiano e che sembra naturalmente rivolto a platee più internazionali. Questo rientra anche nel nome del gruppo, come spiega il cantante, Dave Sorrisi: “Racchiude in sè il fatto di non avere un’origine, una radice. Veniamo tutti da paesi diversi, tutti abbiamo cambiato paese, abitazione, città più volte. E’ inoltre un modo per spiegare il viaggio interiore che affrontiamo quando scriviamo e suoniamo la nostra musica.”

Devo dire che il disco di debutto dei Roam Inside è un lavoro molto compatto dal punto di vista musicale: la band non si discosta mai dal filone in cui si propone, o se lo fa lo fa di pochissimo, il che è un bene. Il disco ha anche momenti di intrattenimento come “Far“, un pezzo che mostra l’abilità del gruppo anche con un genere più lento e meno spinto sull’acceleratore e che consente una piccola pausa dal sound molto aggressivo proposto dai Roam Inside.

Roam inside - "Roam inside" - Artwork
Roam inside – “Roam inside” – Artwork

La band mostra anche di essere capace di esprimere un suono che si ispira a gruppi come i System of a Down (“Crawl“)  ma di solito mantiene la rotta sul nu grunge: il gruppo ha scelto la canzone “Another day” come primo singolo ma nel disco possiamo trovare piccole perle come “Anxiety “, che apre il disco in maniera eccellente, o la ballata “Far” già citata (che sembra un secondo singolo perfetto) o pezzi come “Better Days” o “Get it wrong“.

Il disco si chiude con inusitata dolcezza, con la ballad “Burden“, ispirata alla figura di Kurt Cobain, fragile maitre-a-penser di un’intera generazione. E come nei Nirvana, nei testi del gruppo si riesce a leggere una certa negatività di fondo che lascia comunque lo spiraglio ad una piccola speranza, anche se non si sa bene dove sia o cosa sia. Questo concetto è bene illustrato dalla copertina del disco, che mostra un untore (ovvero un medico della peste) che abbandona le sue vesti in un campo di grano per dirigersi verso l’ignoto, lasciandoci ignari se sia perché abbia compiuto il suo lavoro o perché non ci sia più nessuno da salvare.

Il disco dei Roam Inside è un buon lavoro, anche se qualche perplessità sorge nella scelta della scaletta delle canzoni: considerando che è un primo lavoro, è normale trovare episodi più riusciti (le già citate “Anxiety” e “Far” ed episodi meno felici (cito, solo come esempio, “Greater than Hell“).  Solo il tempo ci dirà se i Roam Inside avranno successo.

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