Robbie Williams: “The Heavy Entertainment Show”. La recensione

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È arrivato nei negozi e in digitale “The Heavy Entertainment Show“, il nuovo e undicesimo album di Robbie Williams, istrionico cantautore e musicista britannico ex ragazzo terribile dei (fu) Take That. Questo disco è il primo per la Columbia Records/Sony Music dopo 11 album che hanno dominato le classifiche di tutto il mondo, un record eguagliato solo da Elvis Presley.

Questo nuovo lavoro è nato per intrattenere in un modo differente dal solito, almeno nelle aspettative di Williams, come lui stesso dichiara: “Stavo riflettendo sul concetto di ‘light entertainment’ – ha raccontato il cantante – ovvero tutti i piú importanti show televisivi di quando ero un bambino, con 30 milioni di telespettatori davanti alla tv che condividevano insieme una grande esperienza. Ho pensato che a volte questo spettacolo può arrivare alle persone anche in modo forte e questo è per me “heavy entertainment”. Ed è proprio quello che spero di fare con questo album: condividere un’esperienza con milioni di persone con un mezzo di intrattenimento leggero… ma con gli steroidi!”

Il disco ha due versioni, una normale da undici canzoni e una deluxe da ben 16 brani, ed è ricco di collaborazioni (ma queste le scopriremo man mano che andremo avanti nell’ascolto), e parte con la title-track che vede le “partecipazioni speciali” di due grandi della musica come Serge Gainsbourg e Sergei Prokofiev: ritroviamo il compositore russo anche nella successiva “Party Like a Russian” dove un sample della “Danza dei cavalieri” tratta dal balletto “Romeo e Giulietta” viene utilizzato nel ritornello. Nella successiva “Mixed Signals” troviamo invece Brandon Flowers dei The Killers per una ballad pop-rock dai risvolti romantici perfetta per le radio.

Love My Life” è il brano scelto come secondo singolo e videoclip di lancio del disco ed è un inno a se stessi, alla propria vita, a quanto si ha lottato per arrivare dove si è ora e quanto questo dia soddisfazione. “Motherfucker” vede la collaborazione del fido Guy Chambers per un pezzo che però non lascia molta traccia di sè, non almeno come la successiva “Bruce Lee” che vede la mano di Stuart Price in produzione e che ricorda tanto le canzoni anni Novanta che omaggiavano il famoso attore asiatico e “Sensitive“, prodotta sempre da Price e che vede la collaborazione di Jackson Guthy e che conquista con il pop elettronico dal retrogusto funky alla Pet Shop Boys.

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Robbie Williams – “The heavy entertainment show” – Cover

In “David’s Song” si vede la mano di Jewel e Kara DioGuardi per quella che è la prima ballata del disco assolutamente perfetta e che credo farà sfracelli ai concerti: “Pretty Woman” invece vede la mano di Ed Sheeran per un pezzo dove la chitarra detta tempi e ritmo e che porta il marchio di fabbrica del cantautore inglese che confeziona un brano assolutamente godibile. “Hotel Crazy” vede il featuring di Rufus Wainwright per il pezzo forse più curioso di tutto il disco, a metà tra la torch song e il blues. Il disco si chiude con “Sensational“, canzone scritta a più mani e ripresa dal vivo con una big orchestra come si faceva nei bei vecchi tempi andati, un brano che permette al performer Williams di sfogarsi come animale da palco e da pubblico.

La versione Deluxe Edition del disco contiene altri cinque 5 canzoni: “When You Know” vede la partecipazione di Seckou Keita, bravissimo suonatore senegalese di kora che con il suo strumento dona un’atmosfera davvero particolare al brano, “Time On Earth“, pezzo dalle ritmiche molto spinte ed elettriche se non quasi spaziali, “I Don’t Want To Hurt You” che vede Williams duettare con il musicista americano John Grant in un pezzo a due velocità dalle atmosfere russe, “Best Intentions” e “Marry Me“, forse uno dei brani migliori del disco, se mai fosse stata presente nella versione originale e non in quella deluxe, scelta che onestamente non comprendo.

The Heavy Entertainment Show” è un buon disco che miscela bene momenti di intrattenimento a momenti più seri e riflessivi: ormai il ragazzaccio dei Take That è cresciuto, le quaranta primavere sono passate ed è tempo di cominciare a fare qualche bilancio. Il disco vede una nutrita schiera di collaboratori famosi che danno il loro apporto per questa o quell’altra canzone cercando di cucirle addosso a Robbie Williams come un sarto farebbe con un vestito e l’esito è complessivamente buono ma non perfetto: le canzoni che lasciano traccia di sé nella memoria dopo l’ascolto non sono molte (“Mixed signals”, “Pretty woman” e “Sensational” su tutte) ma l’impianto del disco è coerente e questo nuovo lavoro di Williams si fa ascoltare piacevolmente. Stupisce come un paio di canzoni della versione Deluxe (“When you know” e “Marry me”) non siano finite dritte dritte nella versione normale del disco dato che secondo me hanno un ottimo potenziale. Ma queste sono scelte a cui non so dare risposta.

 

 

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