Tazenda: “Con Mogol e i Modà per aiutare la nostra Sardegna”

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Tazenda | © SR Studio

Tra le band più longeve, prolifiche e di successo del panorama italiano, i Tazenda hanno appena pubblicato “Il respiro del silenzio”, primo singolo rilasciato dopo il recente cambio di formazione che adesso vede la presenza di Nicola Nite quale nuova voce del gruppo. A firmarlo assieme a Gino Marielli è stato il grandissimo Mogol, ma altrettanto importante la partecipazione di Kekko Silvestre, frontman dei Modà. Il brano è anche parte della tracklist di “Arcu ‘e chelu”, progetto disponibile dal 17 Dicembre 2013 e promosso da Eugenio Finardi cui hanno partecipato, oltre ai Tazenda, anche Negramaro, Bollani, Renga, Salmo ed altri, al preciso scopo di raccogliere fondi per aiutare le scuole materne e primarie di Santa Maria e Putzolu, provincia di Olbia, recentemente colpite e devastate dal maltempo. Abbiamo contatto proprio loro, i Tazenda, e con Gino Marielli abbiamo parlato dei nuovi progetti, ma anche della storia della band e del panorama attuale e non italiano. Una bella chiacchierata di musica.

Artwork "Il respiro del silenzio" TazendaE’ appena uscito “Il respiro del silenzio”, che vi ha visti collaborare con due grandi nomi quali Mogol, che ha scritto il testo del pezzo assieme a Gino Marielli, e Kekko Silvestre, frontman dei Modà, che ha cantato con voi. Una sintesi, potremmo dire, tra la storia della musica italiana ed i suoi nuovi esponenti. Come sono nate queste collaborazioni?

Conosciamo Mogol da più di trent’anni e abbiamo fatto un sacco di cose con lui, ma ironicamente non abbiamo mai scritto una canzone in italiano insieme. Ora, evidentemente, i tempi sono maturi per collaborare da artisti consapevoli di ciò che desideriamo realizzare. Ci siamo messi insieme a scrivere alcune canzoni in stile mistilingue e ci siamo trovati reciprocamente bene. “Il respiro del silenzio” è solo il primo frutto di questa “nuova” collaborazione. Kekko è il nuovo che avanza. Ci ha proposto un duetto e abbiamo accettato con grande entusiasmo. E’ nata un’amicizia ed una complicità artistica con tutta la band, quindi ci è sembrato giusto ricambiare l’ospitalità. Speriamo e crediamo che queste belle cose umane ed artistiche continuino anche solo per il piacere di fare musica insieme.

Questo brano segna un momento importante per i Tazenda: si tratta, infatti, del primo singolo dopo il recente cambio di formazione, eppure si presenta come totalmente fedele allo spirito della band. Qual è la formula per rimanere coerenti con se stessi, a prescindere dai membri effettivi di un gruppo?

Io e Gigi Camedda siamo il motore trainante del progetto da 25 anni e non ci siamo mai spostati di un millimetro dalla strada dei Tazenda. Mi sembra un buon motivo ed una efficace strategia per tenere in piedi una piccola bottega come la nostra. Musicalmente siamo cresciuti di pari passo a come siamo cresciuti umanamente. Abbiamo affinato i gusti e le competenze in modo equilibrato, ma allo stesso tempo un po’ folle e visionario come è appunto il nostro brand (parlo scherzosamente e volutamente come un uomo d’azienda).

In “Il respiro del silenzio” ripropone quegli elementi stilistici che ormai caratterizzano i Tazenda da oltre 25 anni, ovvero la mediazione tra rock e cultura e musica sarda. In che modo riuscite a trovare il giusto equilibrio tra queste due espressioni apparentemente inconciliabili?

Ormai non ci mettiamo più lì a fare le cose in un certo modo, nel modo Tazenda. Dopo tutto questo tempo si è radicata in noi la capacità di fare la nostra musica spontaneamente senza dover essere coerenti o incoerenti. Pensiamo e seguiamo ciò che accade nel mondo esteriore ed in quello interiore e frulliamo il tutto nel nostro vortice artistico sperando che venga sempre fuori un qualcosa di buono e soprattutto di tazendiano.

Tazenda | © SR StudioNel corso della vostra carriera avete avuto modo di lavorare con numerosissimi artisti, da Eros Ramazzotti a Pierangelo Bertoli a Fabrizio De André, solo per citare qualche nome. Grazie anche a queste collaborazioni siete riusciti a sdoganare il folk, non più visto come qualcosa di strettamente legato ai confini geografici. Come avete vissuto questa trasformazione e quale credete sia il ruolo attuale di questo particolare genere musicale?

Forse non siamo mai stati veramente folk nell’anima. Siamo cresciuti con Genesis e Pink Floyd e con gli obbligatori Beatles e Battisti. Alla fine degli anni ottanta abbiamo scoperto le radici profonde della cultura sarda e della nobile lingua logudorese. Questo ci ha dato quella forza che a diversi livelli hanno ricevuto dalla loro terra artisti come Marley e U2. Ormai esiste la parola “world”. Questo globalizza (forse l’unica globalizzazione senza effetti collaterali indesiderati) questo stile che è anche un modo peculiare di vivere la musica. Le radici sono salve, ma ora è necessario non abusarne e non regalarle troppo al mostro dalle cento teste che è la pop music. Noi in primis.

La vostra terra, la Sardegna, è stata recentemente scossa e devastata dall’emergenza meteo, che ha provocato danni fortissimi ai vostri corregionali. Per l’occasione avete anche partecipato ad un concerto a Sassari per andare in aiuto di quanti direttamente colpiti da tale tragedia. Com’è stato partecipare all’evento e qual è stata la risposta da parte della popolazione sarda?

Abbiamo aderito a tante piccole iniziative per dare una mano alla Sardegna. Ora è in uscita un bellissimo cd che si chiama “Arcu ‘e chelu”. Da un’idea di Finardi siamo riusciti a coinvolgere tantissimi grandi della musica italiana e sarda. Il ricavato andrà alle scuole dei bambini di Olbia.

Dal vostro esordio fino ad adesso avete avuto modo di assistere in prima persona all’evoluzione della musica in Italia e nel mondo. Spesso ci si trova a contrapporre lo spirito della “musica per amore della musica” di qualche anno fa rispetto ad una visione più materialista e legata al marketing attuale. In quanto protagonisti, avete percepito nel tempo questo cambiamento? La musica si è effettivamente mossa in tale direzione?

Abbiamo passeggiato attentamente sulle rovine della vecchia e romantica maniera di fare musica del periodo scorso per poi affrontare questo momento di pericolo artistico nel quale occorre una grande attenzione per non cadere nell’oblio del marketing famelico. Occorre meditare sempre sul passato: da bambino cosa mi ha mosso per fare musica? Sto riuscendo ancora ad essere almeno un bel po’ me stesso o mi sono curvato eccessivamente sotto il peso della “professione”?

Dopo tutti questi anni di successi e soddisfazioni, un gruppo storico come i Tazenda, colonna del nostro panorama musicale, ha ancora aspirazioni e mete da raggiungere? Vi ponete tutt’oggi degli obiettivi? 

A questo punto vorremmo andare avanti per vedere cosa succederà. E’ bello immaginare una canzone dei Tazenda del 2020. Quali strumenti useremo? Come ci faremo influenzare dai nuovi generi che arriveranno? Questa curiosità basta per tenerci ben saldi sui nostri piedi. D’altronde Tazenda è un pianeta della letteratura fantascientifica. O no?

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