The Clover: “Processes”. La recensione

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The Clover - Processes - Artwork

Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando alla musica davamo il significato di strumenti ordinari, acustici e tradizionali. La musica si evolve e procede in avanti, guarda al futuro e fa tesoro delle esperienze passate plasmandole e uniformandole non solo al pensiero ma alle abitudini contemporanee. Antonio Pecori, Stefano Meucci e Andrea Giachetti hanno dato vita ai The Clover che a loro volta hanno dato vita a “Processes“, album dalla grande complessità melodica racchiusa in un minimalismo sconvolgente. “Contaminazione” sembra essere la parola d’ordine delle oltre dieci tracce che portano un carattere made in Italy sviluppatosi nella Berlino d’avanguardia musicale.

Il disco si apre con un passaggio da terre lontane al nostro pianeta, suoni di ingranaggi e macchine che arrivano da lontano avvolte dal grigiore della nebbia. “The Gash” e “Jungle Man” ci lasciano intendere quali lidi intendono esplorare i The Clover con un sano sound da club, minimale ma pensato e ragionato nei minimi particolari per non lasciare indietro nessun tipo di architettura sonora. Sintetizzatori, basso elettrico e una miscela di vecchie e nuove strumentazioni colonizzano l’intero ascolto che risulta essere sin dall’inizio molto compatto, unito e continuativo. Psichedelia, vecchia maniera di viaggiare lisergicamente nonostante le ambientazioni ultramoderne, questi sono i synth che plasmano un groove totalmente distorto che ci trasporta in un’altra dimensione, colonizzata dalle sfumature di bianco e di grigio, affondate in un profondo nero tribale.

The Clover ©Facebook
The Clover ©Facebook

Non solo minimalismo, ma anche tanta complessità melodica si cela in brani come “Break 4 Luck“, che ci riporta subito alle atmosfere acide del clubbing anni 90. Un buon compromesso musicale che si trova a metà strada tra Squarepusher e Boards Of Canada volendo presuntuosamente spingersi in avanti, un buon momento musicale quasi unico quello dei The Clover che sembrano aver dato vita ad un nuovo movimento con “Processes“, album dalle trame complesse ma anche trasparenti, fluttuanti e inesistenti. Le atmosfere si infittiscono con “Celestial Fog” perfetta parentesi da club ispirata chiaramente alla Berlino del freddo del gelo e del grigio, dell’avanguardia che ambisce al cielo e che brilla di accattivante contemporaneità. Per i nostalgici di Aphex Twin e della giusta onda acid “Dorf” e “Rolling Down The Hill” si posizionano a fine album per non farci sentire abbandonati da quel sound 90’s che tanto avevamo apprezzato e che nessuno riesce a rivalutare. Scelta giusta, momenti perfetti e miscele di giusta musica contribuiscono a rendere “Processes” davvero un album fuori dal comune, interessante e ben curato. Nel panorama musicale italiano qualcosa sta cambiando, le avanguardie sembrano avere il predominio, segno che la musica ha bisogno di rinnovarsi e ritrovarsi. Sembra essere tutto curato nei minimi dettagli, l’ascolto sembra suggerirlo e anche quella sensazione di smarrimento post ascolto, segno che con un album del genere non è fuori dal comune sentirsi trasportati in un viaggio sonoro. Gran bella chiusura, gran bell’inizio e gran bell’album, sentiremo parlare dei The Clover molto presto come protagonisti nei club internazionali.

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