U2, “Songs of Innocence”. La recensione

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U2 - Songs of Innocence - Artwork

“Songs of Innocence” degli U2 è un album che sarà (ri)valutato postumo e il perché risiede nella sua ragion d’essere. Non ho mai recensito un album degli U2, le considerazioni lasciano il tempo di una chiacchierata tra amici o letture in giro per il web, eppure non ricordo un album dell’intera discografia che abbia avuto un impatto così devastante. Sì, “No Line on the Horizon” (2009) manca di un certo spessore, “How to Dismantle an Atomic Bomb” (2004) sembra abbia contribuito a riportare in auge gli U2 da tempo manchevoli di una certa ispirazione, “All that You can’t Leave Behind” (2000) si concretizza nella canzone “New York”.

Chiacchiere da bar a parte precisiamo una cosa: “Songs of Innocence” non è un ritorno alle origini, bensì uno spartiacque tra l’abisso e il navigare in mare calmo. La stella polare è Danger Mouse, a lui il merito di aver donato a quest’album compattezza, linearità (senza demeriti a Paul Epworth, Ryan Tedder, Declan Gaffney e Flood). E le distorsioni. Già, perché The Edge le aveva messe nel dimenticatoio le distorsioni ma le ritroviamo con “The Miracle (of Joey Ramone)”; cosa c’entrano i vocalizzi in apertura del brano con la chitarra di Joey Ramone ancora non mi è chiaro, ma il brano tutto sommato non dispiace. E mentre dinanzi agli occhi si apre un immaginario forse ancora inesplorato, ecco che nella tracklist di “Songs of Innocence” arriva “California (There is No End to Love)”.

U2 - Songs of Innocence - © Paolo Pellegrin
U2 – Songs of Innocence – © Paolo Pellegrin

 

Evitiamo inutili paragoni, un bel “pop in stile U2” in un album che sancisce due tributi al primo al frontman dei Ramones e il secondo a quello dei Clash, Joe Strummer. Complimenti. Ci sarebbe troppo da dire, o forse niente, ma una cosa è certa: mi verrebbe da urlare in testa a The Edge un bel “e metticele altre due distorsioni” così, a iosa. Che ad un certo punto non capisci più se sono i Coldplay che hanno preso in prestito il sound dagli U2 o viceversa. Basta ascoltare con un po’ più di attenzione “Song for Someone”, “Iris (Hold Me Close)” e “Volcano”.

Ai tempi di “The Fly” (1991) Bono &co. avevano in mente di cambiare direzione, spiazzando i fan con la pubblicazione del primo singolo estratto da “Achtung Baby” completamente diverso rispetto alle sonorità a cui li avevano abituati. Ma qui ci ritorviamo di fronte a “Every Breaking Wave” che riprende in apertura le sonorità del capolavoro qual è “With or Without You”. Dunque, tirando e somme, in apertura il disco delude un po’. Non si capisce dove vogliano andare a pare gli U2, un po’ come questa recensione.

“Cedarwood Road” è l’ottavo brano presente nella tracklist e finalmente qualcosa che richiama l’attenzione: anche se Larry Mullen Jr. e Adam Clayton sembra si siano fermati al bar lasciando spazio solo a Bono e The Edge, questo brano ti richiama all’ascolto prepotente quando stai per staccare la spina. Un po’ come “New York” in “All that You can’t Leave Behind” (2000). “Sleep Like a Baby” segue lo stesso filone, chissà come sarà ascoltarla durante un live. “This is where You can Reach me Now” è l’altro tributo, quello a Joe Strummer. Chiude “The Troubles” che ospita Likke Ly e richiama il sound tipico irlandese con la chitarra di The Edge che stavolta rende bene anche senza distorsioni. Il tappeto di violini presenti per tutta la durata del brano rendono giustizia ad un album che non è poi così tanto male.

Conclusioni: “Songs of Innocence” è un album che sarà (ri)valutato postumo perché, come tutto ciò che è grande, ha bisogno del tempo per essere metabolizzato. Grandi sono gli U2, grande è l’operazione di marketing studiata a tavolino con la Apple (grazie a loro, oggi, sappiamo chi dispone di un supporto Apple, ndR), grande è l’impatto che una band di tale spessore ha suscitato, suscita e susciterà nel pubblico.

Tutto si evolve, tutto muta, e diventano seccanti le critiche in una realtà che ci spinge all’ascolto (e conseguenti conclusioni) superficiali. Lasciamo stare Joey Ramone e Joe Strummer, aspettiamo il secondo capitolo “Song of Experience” e accettiamo il fatto che questo non è il miglior album degli U2. Sarà che l’innocenza si perde con l’esperienza, ma non per forza.

 

9 COMMENTS

  1. Premetto di aver amato molto gli U2 tra il 1987 (quando li ho scoperti) e il 1993 (quando hanno iniziato a deviare verso lidi musicali a me poco graditi) con qualche ritorno di fiamma sporadico (Million dollar hotel e qualcosa di All that you can’t live behind) e tante delusioni (Pop su tutti). Credo sia un album davvero ottimo, come non ne facevano da tempo. Se how to dismantle an atomic bomb era un disco paraculo come pochi e No line on the orizon era la ricerca di un “qualcosa” di diverso dai soliti U2 ma entrambi con risultati mediocri rispetto all’obiettivo, questo fa il suo dovere: ci sono almeno 4 brani che ci stanno di diritto in un loro greatest hits futuro e davvero non trovo nessun pezzo che mi faccia venir voglia di premere il tasto skip… E non è poca cosa. Io qui li trovo davvero ispirati come non succedeva da tanto, troppo tempo.

    • Ciao Daniele,

      mi permetto di far leva su quanto da Te scritto per ribadire il concetto che questo è un album che sarà (ri)valutato postumo. Insomma, bisogna attendere “Songs of Experience” per avere un quadro chiaro della situazione.

      Condivido, comunque, e colgo l’occasione per ringraziarti.

      Un caro saluto.

  2. Parlo da fan , ovviamente sono un po’ di parte, ma a differenza delle critiche pesanti che hanno letteralmente stroncato l’album, secondo me e’ un disco che merita molto, mischia un sound moderno ad un sound anni ottanta, c’e’ molta ispirazione ed e’ ben suonato anche grazie all’ottima produzione di Danger Mouse. Credo che sia l’album migliore degli anni duemila, anche se i precedenti tre ( all that you can’t leave behind, how to dismantle an atomic bomb e no line on the horizon) non erano di certo da buttar via, ma per me un gradino inferiore a questo.

    • Ciao Andrea, grazie per aver letto la nostra recensione, in primis.

      Ribadisco il concetto espresso in precedenza: è un album che si lascia ascoltare volentieri e non è certo da cestinare. Sarà (ri)valutato postumo. In attesa del secondo capitolo “Songs of Experience” che dovrebbe uscire tra meno di un anno.

      Ti auguro una buona giornata

  3. Io quando leggo recensioni negative ho il dubbio che si riferiscano ad un altro disco. A mio modesto parere, dalla quarta canzone è un buon disco. Le prime tre sono un pò troppo paracule.

    • Ciao Riccardo, grazie per aver letto la nostra recensione.
      Sufficienza piena per “Songs of Innocence”, senza dubbio.

      Attendiamo “Songs of Experience”.

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