Stipendi e straordinari vecchi: potresti non riaverli più, cosa sta succedendo - Melodicamente.com
Vecchi straordinari e recupero stipendi: puoi dire addio a questi soldi anche se ti spettano: cosa sta accadendo.
Una nuova norma inserita nel decreto ex Ilva sta scuotendo il mondo del lavoro italiano.
Dietro la motivazione ufficiale di salvaguardare l’industria siderurgica, un emendamento firmato dal senatore Salvo Pogliese di Fratelli d’Italia ha introdotto modifiche radicali che rischiano di cancellare decenni di tutele per i lavoratori, mettendoli in una posizione di forte svantaggio rispetto ai datori di lavoro.
Prescrizione anticipata dei crediti da lavoro: una svolta contro i lavoratori
Per oltre cinquant’anni, la giurisprudenza italiana ha riconosciuto come principio fondamentale che la prescrizione dei crediti da lavoro (stipendi, straordinari, differenze retributive) iniziasse a decorrere solo dopo la cessazione del rapporto di lavoro. Ciò si basava sul riconoscimento dell’ineguale rapporto di forza tra datore e dipendente, sottolineato più volte anche dalla Corte Costituzionale. Il cosiddetto metus, ovvero il timore psicologico di rappresaglie o licenziamenti, ha giustificato questa tutela, garantendo ai lavoratori la possibilità di reclamare i propri diritti anche dopo anni dal termine del contratto. L’emendamento in questione ribalta questa tutela, stabilendo che la prescrizione possa decorrere anche durante il rapporto di lavoro, ma solo se l’azienda ha più di 15 dipendenti.
In pratica, un lavoratore che percepisce una paga inferiore ai minimi contrattuali o un inquadramento errato avrà solo cinque anni di tempo, a partire dal mese successivo alla nascita del credito, per agire legalmente. Dopo questo termine, il diritto a ottenere quanto dovuto svanisce, anche se il lavoratore è ancora impiegato presso lo stesso datore. Questa norma ignora la realtà concreta di molti lavoratori, spesso legati a mutui, con famiglie a carico e in condizioni di lavoro precarie, che difficilmente intraprendono azioni legali per paura di ritorsioni o per l’onere economico e psicologico che una causa comporta.
La riforma non equilibra i rapporti, ma legalizza la paura, trasformandola in un ostacolo insormontabile per la difesa dei propri diritti. A complicare ulteriormente il quadro, l’emendamento introduce un ulteriore limite: una volta inviata la lettera di diffida, atto fondamentale per interrompere la prescrizione, il lavoratore dispone di soli 180 giorni (sei mesi) per depositare un ricorso in tribunale. Se trascorso questo termine non si procede con l’azione legale, il diritto si estingue irrevocabilmente. Questo vincolo rigido non consente alcuna possibilità di mediazione o soluzione stragiudiziale, costringendo il lavoratore a scegliere tra due opzioni scomode: rinunciare al proprio diritto o affrontare subito una causa legale con tutti i costi e gli stress che ne derivano.

Nella pratica, si prevede un aumento del contenzioso, ma anche un forte deterrente che spingerà molti dipendenti a non agire, per timore o incapacità di sostenere un processo in tempi così ristretti. Un tale intervento appare in netto contrasto con l’art. 24 della Costituzione, che garantisce a tutti l’accesso alla giustizia, e rischia di trasformare tale diritto in un privilegio riservato a pochi. Il punto più controverso dell’emendamento riguarda la presunzione di sufficienza salariale. Se un contratto collettivo è firmato dai sindacati considerati “comparativamente più rappresentativi”, la retribuzione viene automaticamente considerata adeguata, anche quando in realtà è inferiore ai minimi legali.
Inoltre, qualora un giudice accerti dopo anni di lavoro sottopagato che il salario non rispetta i minimi costituzionali, non potrà più condannare il datore di lavoro a versare gli arretrati: l’adeguamento scatterà solo dal momento in cui il lavoratore presenta la richiesta in tribunale. Si tratta di un vero e proprio condono per chi ha violato i diritti salariali, che trasforma l’illegalità in una prassi tollerata, annullando la possibilità di recuperare anni di ingiustizie economiche. Questa norma contrasta pesantemente con l’articolo 36 della Costituzione, che sancisce il diritto a una retribuzione proporzionata e sufficiente per assicurare un’esistenza dignitosa al lavoratore e alla sua famiglia.
Oltre all’impatto devastante sui diritti dei lavoratori, il metodo con cui è stato inserito l’emendamento desta forti preoccupazioni sul piano democratico e costituzionale. La modifica, di grande portata e impatto sul diritto del lavoro, è stata infatti introdotta all’interno di un decreto-legge dedicato alla salvezza dell’ex Ilva, un tema tecnico e specifico. Questo stratagemma rientra nella cosiddetta “legislazione omnibus”, pratica più volte censurata dalla Corte Costituzionale per violazione del principio di omogeneità delle norme.
