Pensioni, chi avrà un aumento da inizio 2026 - Melodicamente.com
Chi arriverà a 1.400 euro netti al mese dal 2026: chi può esultare per l’aumento delle pensioni e cosa c’è da sapere.
Le pensioni italiane si apprestano a registrare un incremento significativo nel 2026, grazie alla rivalutazione del montante contributivo, che raggiunge un tasso del 4,04%, il più alto degli ultimi vent’anni.
Questo aggiornamento interessa soprattutto i lavoratori che andranno in pensione a partire dal 1° gennaio 2026, mentre restano esclusi i pensionati che hanno cessato l’attività entro il 2025, così come coloro che percepiscono assegni sociali o pensioni integrate al minimo.
Rivalutazione montante contributivo: un incremento storico per le pensioni 2026
L’Istituto Nazionale di Statistica (Istat) ha ufficializzato il coefficiente di rivalutazione del montante contributivo per il 2026, basato sulla crescita del Prodotto Interno Lordo (PIL) nominale nel quinquennio 2020-2024, che si attesta a un robusto 21,93%. Questo si traduce in un aumento del valore dei contributi versati dai lavoratori pari al 4,04%, una cifra che non si registrava dal 2006.
Un lavoratore con un montante contributivo di 100.000 euro vedrà quindi il proprio capitale rivalutato a oltre 104.000 euro a partire dal prossimo anno, con un incremento di oltre 4.000 euro, solo grazie a questa rivalutazione. Un trend positivo che si consolida dopo i rialzi del 2,3% nel 2023 e del 3,6% nel 2024, e che beneficia della normativa introdotta nel 2015 per tutelare il valore reale dei contributi anche in presenza di crisi economiche o di PIL negativo.
L’incremento del 4,04% si applicherà esclusivamente ai lavoratori che matureranno il diritto alla pensione nel corso del 2026, ovvero coloro che lasceranno il lavoro tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2026. Chi invece andrà in pensione entro la fine del 2025 continuerà a vedere applicato un coefficiente di rivalutazione più basso, con una conseguente riduzione dell’importo mensile dell’assegno pensionistico. Per esempio, un lavoratore con un montante contributivo di 300.000 euro al 31 dicembre 2024, rivalutato del 4,04%, otterrà un capitale di circa 312.120 euro. Applicando un coefficiente di trasformazione del 5,608% (valido a 67 anni), la pensione annua lorda sarà di circa 17.504 euro, equivalente a una mensilità di circa 1.346 euro.

L’aumento interesserà tutti gli iscritti alle gestioni previdenziali dell’INPS, compresi dipendenti, autonomi e professionisti, anche se le modalità di calcolo possono differire leggermente tra le varie casse previdenziali. Tuttavia, la base di calcolo rimane il montante contributivo rivalutato in base alla crescita economica nazionale. Restano invece esclusi dall’adeguamento:
- I pensionati già in pagamento, che continueranno a ricevere solo la rivalutazione annuale legata all’inflazione e non quella del montante contributivo;
- I percettori di assegni sociali e pensioni integrate al minimo, poiché tali prestazioni sono di natura assistenziale e non contributiva;
- I lavoratori con carriere discontinue o contributi bassi, per i quali il beneficio sarà proporzionalmente inferiore.
Va evidenziato che la rivalutazione non si applica ai contributi versati nell’anno del pensionamento né a quelli dell’anno precedente, un dettaglio che può influenzare la scelta del momento più opportuno per uscire dal lavoro. Il montante contributivo rappresenta l’insieme di tutti i contributi versati durante la carriera lavorativa, rivalutati annualmente in base all’andamento medio del PIL nominale degli ultimi cinque anni. Questo sistema, introdotto con la riforma Dini del 1995, lega l’importo della pensione all’effettiva contribuzione e alla durata della carriera.
Alla maturazione del diritto alla pensione, il montante viene convertito in assegno mensile attraverso un coefficiente di trasformazione che cresce con l’età pensionabile: più si posticipa l’uscita dal lavoro, maggiore sarà l’importo dell’assegno.
Il rialzo del 4,04% per il 2026 rappresenta quindi non solo un segnale di crescita economica, ma anche la conferma della solidità del sistema previdenziale italiano, che premia la continuità contributiva e la stabilità occupazionale. Per chi è vicino all’età pensionabile, posticipare di pochi mesi il pensionamento potrebbe tradursi in un assegno più elevato e in un vantaggio economico duraturo, anche se questo beneficio è riservato principalmente a chi ha un montante contributivo consistente e una carriera regolare.
