Brit Floyd: il mito della grande band rivive al Teatro Verdi di Firenze

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Brit Floyd a Firenze | © Melodicamente

Da piccola i miei gusti musicali non erano ancora abbastanza raffinati e spesso e volentieri rifiutavo il consiglio di mia madre di ascoltare i Pink Floyd. Alla domanda di che genere fosse la loro musica, non ho mai ricevuto alcuna risposta, perché la musica dei Pink Floyd è qualcosa che non si può spiegare, non è solo rock e non è solo psichedelica. O la ascolti, o non lo sai. Ed oltre ad essere inspiegabile, a mio parere (almeno fino a ieri sera) è irripetibile.

I Brit Floyd sono stati accolti più calorosamente dal pubblico del Teatro Verdi di Firenze, composto prevalentemente da nostalgici che si sono persi in due ore di suoni ed immagini psichedeliche. Il primo concerto importante della mia vita è stato quello di David Gilmour, uno dei più belli che abbia mai visto insieme a quello di Roger Waters; dopo due spettacoli del genere non ti aspetti granché, soprattutto quando viene fuori un gruppo che si definisce tribute band. Ma i Brit Floyd hanno una reputazione che li precede e non consentono a nessuno di sedersi sulle poltrone ed assistere al loro spettacolo con scetticismo e, tanto per convincerti ulteriormente, attaccano direttamente con “Shine on you crazy diamond“. E’ tutto un rifiorire di ricordi e di emozioni, “Learning to fly” ed un tributo, ovvio e dovuto, a Syd Barrett, con “See Emily Play”, quando Damian Darlington (direttore musicale, voce, chitarra e lapsteel) saluta il pubblico, già in delirio. Dietro la band, un semicerchio di luci che proietta immagini inconfondibili, tutti i più grandi successi e i più grandi ricordi dei Pink Floyd continuano a prendere vita, tra “Money“, “Us and them”, “The happiest days of our lives”, “Another brick in the wall”, “High Hopes” e “Pigs”, che chiude la prima parte dello spettacolo.

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Brit Floyd a Firenze | © Melodicamente

Il livello dei musicisti è davvero alto, dopotutto non sarebbero arrivati ad un tour europeo se non fosse stato così: oltre a Darlington, che si destreggia tra voce e strumenti, Ian Cattell si è esibito con voce e basso per la maggior parte dei brani, accompagnato da un abilissimo Bobby Harrison, chitarra e voce, che ha regalato al pubblico fantastici assoli; Carl Brunsdon, altro polistrumentista, ha aggiunto le parti al sax, alla batteria c’era Arran Ahmun, alle tastiere Rick Benbow e ai cori Rosalee O’Connell, Jacquie Williams e Ola Bienkowska. Quest’ultima, nella seconda parte dello show, ci ha regalato una splendida “The great gig in the sky“, una prova difficilissima per chiunque si cimenti, superata in maniera più che eccellente.

Il ritorno della band sul palco fa impazzire il pubblico quando iniziano le prime note di “Echoes“, seguita da “Time” e “The Great gig in the sky”, “Have a cigar” apre la strada a “Wish you were here” e “One of these days”. L’ultima parte dello spettacolo, invece, è dedicata a “The Wall” e a Roger Waters, che ha già annunciato le sue date italiane del prossimo tour. Le ultime canzoni sono “Hey You”, “Is There Anybody Out There?”, “Nobody Home”, “Vera”, “Bring the Boys Back Home” e “Comfortably Numb“. La chiusura ci regala una straordinaria “Run Like Hell” e manda il pubblico in visibilio, che saluta la band con una standing ovation.

Non vorrei peccare di blasfemia nel sostenere che, in mancanza della formazione originale, i Brit Floyd sono quel che più si avvicina ai veri Pink. Non c’è davvero nulla da eccepire, lo spettacolo a cui abbiamo assistito è stato emozionante, ben strutturato e realizzato da musicisti capacissimi. I brani dei Pink Floyd sono talmente unici e particolari che ritoccarli sarebbe l’equivalente di una profanazione (è il caso di “Wish you were here”, che al cambiamento più impercettibile, ha perso tutto il suo fascino), i Brit Floyd sono arrivati così in alto proprio perché regalano uno show completamente rispettoso, un vero e proprio tributo, senza stravolgimenti, a quella che forse è la band più grande di tutti i tempi.

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