Cosa succede se non paghi l'acqua in condominio: la sentenza è durissima -melodicamente.com
Una recente sentenza ha suscitato un vivace dibattito acceso, offrendo un importante spunto di riflessione sul conflitto tra la condominiali.
In Italia, la gestione delle morosità condominiali è regolata da specifiche disposizioni legali, che stabiliscono i diritti e i doveri dei condomini in relazione alla fruizione dei servizi comuni. L’articolo 63 delle disposizioni di attuazione del Codice Civile attribuisce all’amministratore di condominio il potere di sospendere la fornitura di determinati servizi, come il riscaldamento o l’acqua calda, nel caso in cui un condomino risulti moroso per più di sei mesi.
Questo potere, pur essendo autonomo, è delicato, poiché non è necessario alcun voto assembleare o autorizzazione giuridica preventiva, ma comporta un’importante responsabilità in capo all’amministratore, che deve accertarsi della legittimità della sospensione. Tuttavia, nella pratica, l’attuazione di tale misura può presentare problematiche tecniche non trascurabili.
Cosa succede se non paghi l’acqua in condominio: la sentenza è durissima
In molti condomini, infatti, gli impianti di riscaldamento o di erogazione dell’acqua calda sono centralizzati, ma con valvole e contatori posizionati all’interno delle singole unità immobiliari. In questo caso, la sospensione dei servizi senza entrare nell’appartamento diventa tecnicamente impossibile, creando un conflitto tra il diritto dell’amministratore di tutelare l’interesse del condominio e il diritto alla privacy dei singoli condomini, che include la tutela della inviolabilità del domicilio, sancita dalla nostra Costituzione.

Nel 2025, il Tribunale di Perugia è stato chiamato a esprimersi su un caso che ha messo in luce questo conflitto. Una condomina, infatti, risultava morosa da oltre sei mesi, e non permetteva l’accesso al proprio appartamento per sospendere i servizi di acqua calda e riscaldamento.
Impossibilitato a intervenire in altro modo, il condominio ha deciso di fare ricorso per ottenere una autorizzazione giudiziaria che consentisse l’accesso forzato all’immobile. Il Tribunale, con l’ordinanza n. 1036 del 2025, ha dato ragione al condominio, sottolineando che la normativa prevede la possibilità di sospendere i servizi in caso di morosità prolungata, senza necessità di una delibera assembleare o di autorizzazione preliminare.
La Corte ha, però, operato un bilanciamento tra il diritto del condominio a tutelare i propri interessi economici e la necessità di rispettare la privacy e la sicurezza del domicilio. L’accesso all’abitazione è stato autorizzato, ma con precise condizioni: l’intervento doveva essere eseguito esclusivamente da personale tecnico autorizzato, e l’accesso all’appartamento doveva essere limitato al minimo necessario per sospendere l’erogazione dei servizi.
Questa decisione ha introdotto un precedente giuridico rilevante per gli amministratori di condominio, offrendo una via legale per risolvere situazioni simili. Tuttavia, essa solleva anche interrogativi legati alla gestione di tale potere e alla tutela dei diritti dei singoli condomini. Da un lato, la sentenza rafforza il potere dell’amministratore di esercitare la sua funzione in modo efficace, dall’altro solleva il problema di come bilanciare questa azione con il diritto alla privacy e alla protezione del domicilio, che in un contesto democratico deve essere sempre salvaguardato.
Una questione centrale che emerge dal caso è la responsabilità dei condomini nei confronti dei debiti condominiali. La normativa italiana prevede che le spese per la gestione dei servizi comuni siano suddivise in base ai millesimi di proprietà, ossia proporzionalmente alla quota di proprietà che ciascun condomino possiede. La morosità di un singolo condomino, quindi, non deve ricadere su tutti gli altri, e il debito accumulato può essere suddiviso tra tutti i residenti in proporzione alla loro quota di proprietà.
