Dola J. Chaplin: “To the tremendous road”. La recensione

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Dola J. Chaplin - "To the tremendous road" - Artwork

E’ stato presentato alla stampa con un’anteprima del singolo “Nothing to say” (con un video che riporta a pieno i sapori che l’artista tende a comunicare anche nei suoi live) e con il promo anche del secondo singolo “What I Care” il primo disco del songrwriter Dola J. ChaplinTo the tremendous road”, prodotto da Protosound Polyproject, firmato dalla VOLUME! Records e CRAMPS Music e distribuito dalla EDEL. Un esordio di grande qualità tecnica e artistica.

Dola J. Chaplin, classe 1982, è un songer songwriter della nuova generazione e si presenta al pubblico con un disco che è una sorta di “diario” di viaggio alla ricerca di sè attraverso l’essenzialità, la semplicità e la scarna voce accompagnata dalla chitarra. Un disco intimo e vero, che a tratti commuove e che comunica emozione e semplicità.

Nonostante il suo passato di chitarrista e bassista punk, oggi Chaplin si mostra nei panni di un artista bohemienne, chitarrista, autore e poeta esteta in continuo divenire, grazie al viaggio in stile “busking” dall’America all’Inghilterra che ha portato alla creazione di questo disco e a firmare la colonna sonora dell’ultimo film del regista Enrico Bernard, “The last capitalist“, tratto dalla commedia “Holy Money” e che vede come attori Martin Kushner, Ava Mihaljevic e Andre Vanmarteen.

Con queste premesse così particolari mi attendevo molto da questo disco e devo dire che l’ascolto non mi ha deluso. Il lavoro di Chaplin segue le tracce del classico songwriting folk americano, dell’intimismo e del racconto del viaggio esterno come metafora del viaggio dentro di sè. E come poteva iniziare meglio il disco se non con una canzone come “Go wild“, una canzone che trasuda folk e country, una canzone dal suono dell’armonica e dall’odore del tramonto sui campi di granturco.

copertina
Dola J. Chaplin – “To the tremendous road” – Artwork

Il disco prosegue con la melodia lenta di “You’re on my mind“, un pezzo dalla chitarra slide e dalle profonde suggestioni folk che ricorda alcuni lavori di Ben Harper, e con uno dei singoli scelti per la promozione dell’album, “What I care“, un pezzo della tradizione americana che ricorda invece le atmosfere alla Bob Dylan, questo solo per ribadire la bontà del disco.

Con “Dyin’ every day” invece l’immaginazione corre e sembra di essere sul retro di un pick-up mentre si attraversano le praterie sconfinate americane con la compagnia di un amico e di un banjo, che per tirarci un po’ su di morale ci canta poi “Flowers“, forse per consolarci dell’amore di una donna che non abbiamo più. E una volta finita la corsa, quando ormai è sera e siamo accampati vicino ad un fuoco, cosa di meglio che non cantare “Frost’neath the nails” e ricordare a noi stessi che ogni tanto si può anche imboccare la strada sbagliata.

Ormai a metà disco compare la title track del disco, “To the tremendous road“, una canzone al banjo e ritmo da orchestrina di campagna con tanto di violino, seguita da “Sails“, un classico pezzo folk voce e chitarra che accarezza il cuore. La pioggia invece introduce “Nothing to say“, brano registrato live in una vecchia cucina, tra le rovine di un antico borgo lontano dal tempo. Il disco si chiude con “Driving South“, pezzo perfettamente in linea con l’atmosfera che si respira nel disco, e con una versione “reprise” di “What I care“.

Il lavoro di Dola J. Chaplin appassionerà gli amanti del genere e si farà notare in alcuni brani anche da chi non ama propriamente questo genere: per essere un disco di esordio mostra una forza e una disinvoltura non da poco e la musica “scivola via” benissimo, colpendo dove deve colpire e suonando come deve suonare. Se posso dare un consiglio, questo è uno di quei dischi da avere in macchina in occasione di un lungo viaggio, casomai in campagna. Sarà una perfetta colonna sonora.

Voto: Dite la vostra!

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