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Goldfrapp: “Tales of us”. La recensione

Quando si parla di Goldfrapp, si sa che si sta per entrare in un terreno molto particolare: la cantante Alison ha una voce molto particolare ed il duo inglese ha sempre colpito per le sue scelte musicali e stilistiche. Ed è così anche con il nuovo disco, “Tales of us“.

Il disco, registrato tra le campagne londinesi e missato a Londra, segue di ben tre anni il lavoro precedente, “Head first“, lavoro che aveva lasciato i fan del duo elettronico abbastanza delusi, memori dei capolavori precedenti “Felt Mountain” e “Black Cherry”. E tutti si aspettavano una risalita che segnasse la rinascita della formazione inglese. Risalita che, mi dispiace dirlo, non si vede nemmeno in lontananza.

Tales of us” è un disco da 10 tracce per 44 minuti di musica ed è stato descritto dalla casa discografica come il loro disco “più sontuoso, intimo e cinematografico”, frutto di oltre due anni di lavoro in cui ogni traccia ha il nome di una persona tranne una traccia, “Strangers” e dove i testi raccontano di storie d’amore, di allucinazione, di fiabe, di folklore e di redenzione mentre le melodie, sognanti e delicate.

Già dalle prime due tracce, “Jo” e “Annabel“, danno bene l’idea del lavoro che si ha tra le mani: una voce delicata e leggera, quasi sussurrante, una musica che grazie alla chitarra e alle tastiere sospende l’ascoltatore in un mondo sospeso, quasi di nuvola, dove siamo condotti per mano da Alison in questo viaggio fatto di note.

Goldfrapp - "Tales of us" - Artwork
Goldfrapp – “Tales of us” – Artwork

Il viaggio prosegue ascoltando le tracce successive, che si snocciolano come in un rosario musicale dove la foga e l’energia di alcuni grandi successi del gruppo (basti pensare a “Oh la la”) è ormai quietata ed ha ceduto il passo a momenti più distensivi e raffinati come “Drew“, “Ulla“, “Alvar“, “Thea“, “Simone“, “Strangers“, “Laurel” e “Clay“. Anche troppo distensivi e raffinati, a dirla tutta.

Non dispiace scoprire questo lato dei Goldfrapp così particolare, intimo ed intenso allo stesso tempo, ma il disco, a lungo andare, diventa pesante per l’ascoltatore che deve fare un certo sforzo per arrivare alla fine dell’album e resistere alle ondate di noia e di sonno che incedono progressivamente sulle sue palpebre. Come detto prima, molti si aspettavano una rinascita dei Goldfrapp ed una loro riscossa, un segnale di vita dal loro stato di torpore compositivo, ed invece si sono trovati tra le mani un disco lento, pesante, ripetitivo in alcuni punti e tutto incentrato su un cantato che convince poco e che sembra destinato a cullare un bambino. Questo può essere sopportabile per qualche minuto, ma non per tutto il disco, avendo ben fissi in testa, ripeto, i lavori precedenti dei Goldfrapp, molto più energetici e che avevano aiutato il gruppo ad uscire dall’anonimato e a farsi conoscere in giro per il mondo. Peccato. “Tales of us” non convince e non colpisce.

 

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