Klimt 1918: “Sentimentale Jugend”. La recensione

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Tanto tempo fa, nel lontano 1999, due fratelli, Marco e Paolo Soellner, decidono di formare una band: coinvolgono nel progetto il bassista Davide Pesola e il chitarrista Francesco Tumbarello e fondano i Klimt 1918. Cominciano a suonare insieme e producono una demo, “Secession Makes Post-Modern Music”, che gli fa ottenere le attenzioni di una etichetta indipendente italiana, la My Kingdom Music, con cui firmano un contratto per due album. Da quel passo ci vogliono ben tre anni (e il cambio di chitarrista con Alessandro Pace al posto di Tamburello) prima che esca il primo disco vero e proprio, “Undressed Momento“, un album che riceve ottimi giudizi dalla stampa musicale di tutta Europa. Due anni dopo la band pubblica il suo secondo disco, “Dopoguerra“, e cambia di nuovo chitarrista, con Francesco Conte che prende il posto di pace, con il quale produrranno nel 2008 “Just in Cause We’ll Never Meet Again“, loro ultimo disco. Almeno fino ad oggi.

Già, perché a distanza di ben otto anni dal disco precedente i Klimt 1918 hanno deciso di tornare sulle scene con un nuovo album dal titolo molto particolare, “Sentimentale Jugend“, che rievoca il progetto sperimentale di Alexander Hacke (Einstürzende Neubauten) e Christiane Flescherinow, meglio conosciuta come Christiane F. (dal libro bestseller, “Noi ragazzi dello zoo di Berlino”). Già dalle premesse si può immaginare come questo disco sia particolare. Anzi, questi dischi, visto che i venti brani che compongono “Sentimentale Jugend” si trovano in due dischi differenti, “Sentimentale“, composto da 9 brani per 54 minuti, e “Jugend“, composto da 10 brani per 53 minuti. Quasi due ore di musica a distanza di ben otto anni dal precedente album con in testa un’idea ben precisa, far rivivere almeno musicalmente la Berlino degli anni Ottanta, quella della trilogia berlinese di David Bowie e del film “Le vite degli altri”, come è la stessa band a dire: “Volevamo un sound acido e scuro, volutamente low fi e poco comprensibile. Ci siamo chiesti come sarebbe stato terrorizzare la nostra vena pop con sonorità poco rassicuranti, sporcate da rumori, esplosioni, cupi feedback. Come se i Cocteau Twins ed i Chameleons avessero il suono corrosivo di Transilvanian Hunger dei Darkthrone. E più ci dirigevamo in quella direzione, più ci accorgevamo che quelle sporcature rendevano le nostre canzoni cinematografiche e tridimensionali; sognanti ma con un incedere sinistro e torbido.Volevamo terrorizzare la nostra vena pop con sonorità poco rassicuranti, sporcate da rumori ed esplosioni.

Tutto il lavoro musicale è stato registrato agli Oz Record Studio di Roma grazie al sapiente lavoro di Claudio Spagnuoli coadiuvato in questo dagli stessi Klimt1918 e da Alessandro Di Nunzio: i fratelli Soellner hanno anche curato l’aspetto grafico del disco insieme ad Alessio Albi mentre nel progetto sono intervenuti Alessandro Ciccarelli ai fiati, Isabella Cananà ai cori nella canzone “Juvenile” e le voci di Max Alto in “Stupenda e misera città” e di Simone Salvatori in “Lycans”. Un lavoro immane, enorme, lungo e paziente (lo stesso gruppo si è paragonato a dei pachidermi che lentamente ma inesorabilmente ha raggiunto il suo obiettivo) che si è trasformato in 107 minuti di musica dalle mille sfaccettature e influenze (giusto per citarne qualcuna, oltre ai già menzionati David Bowie e Einstürzende Neubauten, menzioniamo Glasvegas, Cocteau Twins, Jesus and Mary Chain e Sigur Ros).

Klimt 1918 Sentimentale Jugend Cover
Klimt 1918 – “Sentimentale Jugend” – Cover

Data la massa immensa di musica, questa recensione sarà diversa dal solito, dato che mi concentrerò su di un disco alla volta per poi comprendere il tutto in una visione d’insieme, e quindi cominciamo proprio dal primo disco, “Sentimentale“. Già dalla prima traccia “Montecristo” si capisce che i vecchi Klimt 1918 sono cambiati, e pure tanto: le atmosfere alternative rock e grunge dei loro primo dischi hanno lasciato il post al post-rock, allo shoegaze e al lo-fi. Lo si capisce ancora di più ascoltando brani come “Comandante” e “La notte“, che non disdegnano inserimenti più propriamente rock ma sempre immersi in questa atmosfera molto modificata, quasi innaturale, e il suono richiama alla mente gli Ultravox di “Vienna” e quel senso di gelo e distanza tra chi canta e chi ascolta. Andando avanti nel disco questa sensazione si acuisce e diventa quasi fisica, con le canzoni che ripetono la loro struttura musicale (inizio in sospensione, ritornello, bridge musicale in crescendo e finale rock sfumato dove le chitarre regnano sovrane): “It was to be“, “Belvedere” e “Once we were” si somigliano per stile e per sensazione che lasciano ma, quando tutto sembra essere banale, arriva il brano che ti spiazza, la cover di “Take my breath away” di Giorgio Moroder e Tom Whitlock portata al successo dai Berlin e dal film “Top Gun” e che qui diventa qualcosa di assolutamente diverso e spiazzante, quasi dolce nel suo ricordare qualcosa degli Air. La title-track è decisamente più rock di tutto il resto del disco e forse più digeribile dalle radio mentre il disco si conclude magnificamente con l’epicità di “Gaza Youth (Exist/Resist)“.

Il secondo disco, “Jugend“, si apre con “Nostalghia” ed è come intrecciare un filo che si è appena interrotto, e scorrono via come in un unico flusso anche le canzoni seguenti come “Fracture“, “Ciudad Lineal“, “Sant’Angelo (The Sound & The Fury)” e “Unemployed & Dreamrunner“. “The Hunger Strike” cerca di distaccarsi dal resto ma ricade nel cliché in cui sembra precipitato il disco e anche “Resig-nation” non sfugge a questa legge: cominciano a distaccarsi dal contesto generale “Caelum Stellatum” grazie anche al parlato registrato e “Juvenile“, brano molto più rock e meno immersa nelle atmosfere nebbiose che regnano sovrane nel disco. Anche in questo disco è presente un brano decontestualizzato e in questo caso si tratta di “Stupenda e Misera Città“, pezzo tratto da “Il pianto della scavatrice” di Pier Paolo Pasolini e musicato da Francesco Conte. Tutto questo enorme lavoro si chiude con “Lycans“, pezzo scritto come tutti gli altri da Marco Soellner e che dà una sferzata di ritmo a tutto il progetto.

Il nuovo lavoro dei Klimt 1918 dura ben 107 minuti di ascolto: in pratica due ore di musica in cui il dream pop e la shoegaze la fanno da padrona con inserimenti che spaziano dall’indie al new wave degli anni 80 e 90, il tutto mescolato con suoni distorti e acidi, messi appositamente per creare un senso di stranimento nell’ascoltatore. È innegabile che si tratti di un lavoro maturo e che sicuramente incontrerà favorevoli giudizi nel mondo degli appassionati dei gruppi come My Bloody Valentine e Sigur Rós, ma che credo incontrerà non pochi giudizi ostici da parte di tutti gli altri ascoltatori, che si troveranno per le mani un doppio CD in l’uso dei riverberi delle chitarre, del tremolo, degli strumenti a fiato e delle drum machine restituisce un disco compatto ma in alcuni tratti mono-tono e senza molte variazioni sul tema. È difficile scegliere un pezzo rappresentativo di “Sentimentale Jugend” in quanto tutti i brani sono come mattoni di una casa che va ammirata nella sua interezza e non stanza per stanza: questo è un suo pregio e un suo difetto, perché è encomiabile lo sforzo messo su dal gruppo per creare un disco del genere ma ad orecchie poco attente questo lavoro potrebbe risultare banale e senza variazioni. È un disco di nicchia per un pubblico attento e amante del genere e che aspettava da tempo il ritorno dei Klimt 1918: gli altri non lo ameranno molto, ma si sa, i gusti sono gusti.

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