Panic! at the Disco: “Death of a bachelor”. La recensione

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Quando i Panic! At The Disco di Brendon Urie comparvero sulle scene musicali nel 2005 con “A Fever You Can’t Sweat Out“, molti rimasero sorpresi da questo gruppo che si esprimeva in modo appariscente e teatrale e si collegava al mondo musicale degli “emo”: questa loro collocazione è stata sì una benedizione per il loro istantaneo successo ma anche una maledizione, un incasellamento, un’iconizzazione che il gruppo si è portata dietro per molti anni, direi fino ad oggi.

Nel corso degli anni però il gruppo si è evoluto ed ha prima esplorato la musica degli anni ’70 e dopo la musica pop-rock generazionale fino a tornare indietro verso le sue radici targate Las Vegas, sempre però reinventandosi in maniera ambiziosa ma perdendo quella singolarità che l’album di esordio aveva loro dato. “Death Of A Bachelor“, il loro nuovo disco, completa un poco questo cammino grazie anche alla maggiore libertà compositiva di Urie dopo l’uscita dal gruppo del batterista Spencer Smith e del bassista Dallon Weekes (sebbene quest’ultimo rimanga nei panni di turnista live). Libertà che lo ha portato ad essere autore, produttore, musicista, cantante e promotore ed ad affermare sul suo profilo facebook “Quest’album sono io. Io che corro al piano, che costruisco una batteria, che suono una chitarra. Alcune cose non cambiano mai”.

Death of a Bachelor“, con le sue undici canzoni per 36 minuti, si presenta come un disco composto da due anime, al di là della canzone di esordio, il singolo “Victorious” che richiama molto ai vecchi P!ATD, con tanto di coro di cheerleader e riff di chitarra e che è diventato la colonna sonora del baseball su MLB Network ed è stata usata per il trailer del videogame WWE 2K16: il pop-rock “Don’t Threaten Me With A Good Time” richiama ai bei vecchi tempi andati, con tanto di tromba con la sordina e bridge etereo-batteristico, mentre il gospel-rock di “Hallelujah” porta da un’altra parte e tocca terreni inesplorati, con una venatura sinatriana, come Urie stesso dichiara.

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Panic!At the Disco – “Death of a bachelor” – Artwork

Emperor’s new clothes“, terzo singolo del disco, è incollocabile: non rientra con niente di quanto ascoltato finora e lascia un attimo interdetti. Ma lo stupore maggiore si ha con “Death of a bachelor“, la title-track, che fonde dub-step e musica da crooner, in un’atmosfera pazzesca che fa innamorare al primo ascolto e fa credere che sarà un tormentone appena uscirà come singolo. Rimaniamo negli anni ’30 tra bulli, pupe, gangster e scazzottate con “Crazy=Genious“, canzone che sembra uscita dritta dritta dal film “The Mask” per il suo piglio ritmato e ironico.

LA Devotee” ci fa fare un salto temporale e piombiamo negli anni ’90 tra surf e spiagge bagnate dal sole mentre “Golden days” è un altro brano che mostra il cambiamento e la nuova strada musicale che i PATD potrebbero intraprendere per finalmente scrollarsi di dosso l’etichetta di emo-band, dato che non rappresenta appieno il loro stile musicale. Tempo quattro minuti e veniamo smentiti da “The Good The Bad And The Dirty“, pezzo che richiama alla mente i primi anni del gruppo di cui stavamo parlando proprio poco prima e che fa venire in mente i Maroon 5. Ci avviamo alla fine del disco e come penultimo pezzo troviamo “House of memories“, il pezzo più debole del disco e l’unico con un featuring, quello di Dylan Schwab, il trombettista di Sting: l’album si conclude con “Impossible Year“, una ballad che riporta di nuovo a Frank Sinatra per… per tutto: voce, pianoforte, tastiere, tutto. E che è un pezzo pazzesco.

L’aver avuto per la prima volta libertà totale di scrittura ha mostrato la poliedricità di Brendon Urie: lo si vede dai tantissimi richiami che si trovano nel disco e che ci consegnano un caleidoscopio di suoni e stili. Se da una parte esiste ancora il filone in cui hanno prosperato i PATD (e sarebbe impensabile che non ci fosse) dall’altro lato troviamo dei germi di nascita di qualcosa di nuovo. Lo mostrano brani come “Hallelujah”, “Golden Days”, “Death of a bachelor” e “Impossible Year”, pezzi che mostrano come non sia impossibile pensare in una mutazione dei Panic! At the Disco in qualcosa di diverso. E che mostrano anche quante frecce abbia al suo arco Urie, certo molte di più di quante i suoi detrattori pensassero. “Death of a Bachelor” è un disco che sorprende e si mostra ambizioso come non mai con un Brendon Urie in forma smagliante il cui carisma ed eccentricità lo hanno reso finalmente il leader che doveva essere. Speriamo sia la definitva volta buona.

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