Impatto economico e prospettive future - Melodicamente.com
Con l’avvicinarsi del 2026, si delineano importanti novità per le pensioni minime in Italia, che interesseranno una parte dei pensionati.
La manovra di Bilancio appena approvata dal Consiglio dei Ministri, sotto la guida del Governo Meloni, prevede un incremento mensile di 20 euro per le pensioni più basse, un ulteriore passo verso il sostegno delle fasce più fragili, anche se non tutti potranno beneficiare di questo aumento.
Il sistema pensionistico italiano, soprattutto nel regime contributivo vigente, calcola l’assegno esclusivamente in base ai contributi versati nel corso della vita lavorativa. Questo metodo, pur nella sua semplicità, risulta penalizzante per chi ha avuto carriere brevi o stipendi contenuti. Nel dettaglio, il versamento contributivo è proporzionale al reddito: per il lavoro dipendente, ad esempio, il 33% dello stipendio lordo confluisce nel cosiddetto montante contributivo, che rappresenta la base di calcolo della pensione.
Il montante agisce come un salvadanaio, dove si accumulano annualmente i contributi versati, rivalutati in base all’inflazione fino al momento del pensionamento, quando la somma viene trasformata in pensione tramite coefficienti di trasformazione legati all’età del pensionato. Più si ritarda il pensionamento, maggiore è l’importo erogato.
Con soli 20 anni di contributi, ottenere una pensione elevata è praticamente impossibile, soprattutto se si anticipa il pensionamento rispetto all’età minima prevista (attualmente 67 anni). Il risultato è spesso un assegno modesto, con conseguenze economiche significative per chi ha avuto carriere discontinue o redditi bassi.
Incremento delle pensioni minime nel 2026: chi ne beneficerà?
La legge di Bilancio 2026 prevede un aumento di 20 euro al mese per le pensioni minime, già potenziate nell’anno precedente con un aumento straordinario del 2,2% oltre alla rivalutazione ordinaria. Questo adeguamento avvicina l’importo minimo a circa 635 euro mensili.
Tuttavia, il beneficio non sarà universale. L’integrazione al trattamento minimo è riservata esclusivamente a chi ha contributi accreditati prima del 1996, ossia coloro che percepiscono una pensione calcolata con il metodo misto (parte retributivo e parte contributivo). Per i cosiddetti contributivi puri, coloro che hanno iniziato a versare dopo il 31 dicembre 1995, non è prevista alcuna integrazione al minimo.
Questo significa che pensionati con carriere contributive più recenti, anche se percepiscono assegni molto bassi, non riceveranno alcun incremento aggiuntivo e continueranno a subire le rigidità del sistema contributivo puro, che non garantisce un minimo garantito.

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Il Governo guidato da Giorgia Meloni, in carica dal 22 ottobre 2022, ha inserito nell’agenda politica la necessità di sostenere i pensionati più vulnerabili attraverso interventi mirati sulle pensioni minime. La manovra finanziaria 2026 conferma questa linea, con un incremento aggiuntivo rispetto all’aumento già previsto per il 2025.
L’esecutivo, che ha sede a Palazzo Chigi, ha sottolineato in diverse occasioni l’impegno a tutelare il potere d’acquisto delle pensioni più basse, pur nel contesto di un sistema contributivo che resta rigido e fortemente legato ai versamenti effettivi. Proprio per questo motivo, l’intervento sulle pensioni minime mira a garantire una soglia di reddito dignitosa a chi ha contribuito per un periodo significativo prima del 1996, evitando così il rischio di pensioni troppo esigue.
Resta aperta la questione dei contributivi puri, per i quali non sono previsti strumenti di sostegno simili. Ciò evidenzia come il sistema pensionistico italiano continui a presentare disparità tra diverse categorie di lavoratori, soprattutto in un’epoca di crescente precarietà e carriere lavorative discontinue.
