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Nell’attuale contesto economico, la gestione della liquidità assume un ruolo cruciale per i risparmiatori.
Sullo sfondo di un sistema bancario sempre più digitale e competitivo, la scelta tra conto corrente e conto deposito rappresenta una leva strategica per ottimizzare il rendimento dei propri risparmi e contenere i costi.
Ma cosa succede realmente se, partendo da un saldo di 50.000 euro sul conto corrente, si decide di spostare 10.000 euro sul conto deposito? Facciamo chiarezza.
Sebbene il termine “conto” possa suggerire una similitudine, conto corrente e conto deposito sono strumenti finanziari distinti, con caratteristiche, funzioni e finalità diverse. Il conto corrente è il principale strumento per la gestione quotidiana del denaro: consente di effettuare pagamenti, domiciliazioni di utenze, accredito di stipendi e pensioni, prelievi e versamenti, oltre a fungere da supporto per assegni, carte di pagamento e dossier titoli. Dal punto di vista economico, il conto corrente presenta due aspetti significativi:
- Nella maggioranza dei casi, non produce interessi attivi sulle giacenze;
- È spesso gravato da spese di gestione variabili, che possono incidere anche significativamente sul costo annuo totale.
Secondo l’ultima indagine di Banca d’Italia relativa al 2023, il costo medio annuo di un conto corrente presso sportelli bancari tradizionali si attesta intorno a 100,70 euro, scendendo a 67,30 euro per quelli postali e a 28,90 euro per i conti correnti online. Questi costi possono includere spese fisse, imposta di bollo obbligatoria (34,20 euro per saldi superiori a 5.000 euro) e commissioni legate ai servizi accessori.
Al contrario, il conto deposito si configura come un prodotto “quasi liquido”, dedicato a far fruttare la liquidità non immediatamente necessaria. Solitamente gratuito e privo di spese di gestione (escluse quelle fiscali), il conto deposito remunera il capitale con un tasso d’interesse attivo, variabile in base a durata del vincolo, importo versato e condizioni commerciali della banca. Attualmente, le offerte più vantaggiose sul mercato italiano propongono tassi annui lordi che raggiungono il 3-3,5% su durate da 6 a 36 mesi. È importante evidenziare che sia il conto corrente che il conto deposito sono coperti dalla garanzia del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD) fino a 100.000 euro per depositante e per banca, assicurando così la sicurezza del capitale investito.
Spostare 10.000 euro dal conto corrente al conto deposito: un esempio pratico
Consideriamo un correntista con un saldo fisso di 50.000 euro sul conto corrente, senza alcun interesse attivo riconosciuto dalla propria banca. Il costo complessivo annuo sostenuto per il conto corrente si quantifica in circa 65-135 euro tra imposta di bollo e spese di gestione.
Se questo risparmiatore decidesse di trasferire 10.000 euro, pari al 20% del saldo totale, su un conto deposito vincolato a 24 mesi con un tasso annuo lordo del 2,50% (circa 1,85% netto), si otterrebbero i seguenti risultati:
- Il restante 80% del capitale rimarrebbe sul conto corrente, continuando a non generare interessi e a sostenere le medesime spese;
- I 10.000 euro depositati sul conto deposito non comporterebbero spese di gestione e produrrebbero interessi netti per circa 330 euro in due anni, al netto di un’imposta di bollo stimata in 40 euro.
In sostanza, con l’impiego di appena un quinto del totale dei risparmi, il correntista coprirebbe completamente i costi annuali obbligatori derivanti dal conto corrente, senza intaccare il capitale iniziale e beneficiando di un rendimento netto positivo.

Un altro aspetto rilevante nella gestione della liquidità riguarda i versamenti in contanti sul conto corrente. In Italia, non esiste un limite legale per l’importo che si può depositare in banca, ma le normative antiriciclaggio fissano paletti stringenti sugli scambi di denaro contante.
Dal 1° gennaio 2023, il limite per i pagamenti in contanti è stato fissato a 4.999 euro, mentre somme pari o superiori a 5.000 euro devono essere movimentate tramite strumenti tracciabili (bonifici, assegni, carte di pagamento). Tale disposizione si applica a qualsiasi rapporto giuridico, inclusi quelli con la Pubblica Amministrazione, e prevede sanzioni che possono arrivare fino a 250.000 euro in caso di violazione.
