Cerchi o rettangoli: cosa vedi nell'immagine rivela molto di te- Melodicamente.com
Ognuno di noi, osservando questa immagine, vede qualcosa di diverso: cerchi o rettangoli? Dipende anche da dove siamo nati.
Le illusioni ottiche continuano a rappresentare un campo di studio affascinante e complesso, capace di mettere in luce come la percezione visiva non sia un processo meccanico e universale, bensì un fenomeno profondamente intrecciato con la cultura, la storia, il corpo e il contesto sociale in cui si vive.
Numerose ricerche, provenienti da discipline diverse come neuroscienze, sociologia e antropologia, confermano che il modo in cui interpretiamo ciò che vediamo dipende da molteplici fattori, dall’ambiente in cui siamo cresciuti alle abitudini sensoriali che abbiamo sviluppato.
Le illusioni di Coffer e Müller-Lyer: percezioni a confronto tra cultura e innato
Uno studio innovativo condotto da Ivan Kroupin presso la London School of Economics ha preso in esame la cosiddetta illusione di Coffer, un’immagine ambigua che può essere percepita come composta da cerchi o da rettangoli. I risultati hanno mostrato differenze nette tra partecipanti provenienti da ambienti urbani occidentali, come Regno Unito e Stati Uniti, e persone di comunità rurali della Namibia. Mentre i primi tendevano a vedere rettangoli, i secondi vedevano cerchi.
Questo fenomeno è spiegato dalla “carpentered world hypothesis”, che suggerisce come gli individui cresciuti in ambienti ricchi di linee rette e angoli retti, tipici delle architetture occidentali industrializzate, sviluppino una percezione visiva orientata a riconoscere tali forme. Al contrario, chi vive in ambienti naturali o rurali, con forme più morbide e meno strutturate geometricamente, tende a percepire diversamente. In apparente contrapposizione, un altro studio portato avanti da Dorsa Amir e Chaz Firestone focalizza l’attenzione sulla dimensione innata della percezione visiva attraverso l’analisi dell’illusione di Müller-Lyer.
Questa illusione, che coinvolge linee con frecce terminali direzionate diversamente, è stata riconosciuta non solo da persone di diverse culture, ma anche da animali e da individui ciechi che hanno riacquistato la vista, dimostrando che alcuni meccanismi percettivi sono universali e biologicamente radicati.
Oltre alla componente neuroscientifica, le scienze sociali offrono una prospettiva fondamentale per comprendere come la percezione sia un processo culturalmente situato. L’antropologia della percezione, con studiosi come Maurice Merleau-Ponty e Tim Ingold, evidenzia che vedere, udire o toccare non sono solo funzioni biologiche, ma modi di interagire con il mondo che apprendiamo attraverso l’esperienza condivisa. In questo senso, la percezione è sempre un “modo di stare al mondo” profondamente influenzato dal contesto culturale.

Le ricerche di David Howes e Constance Classen sul “senso culturale” sottolineano come l’importanza attribuita ai diversi sensi vari da cultura a cultura. In Occidente la vista è spesso predominante, mentre in altre società possono prevalere olfatto, tatto o udito, incidendo su quali stimoli vengono percepiti e su come vengono interpretati. Le illusioni ottiche, quindi, non sono semplici “giochi visivi”, ma strumenti che rivelano i molteplici modi in cui le comunità umane costruiscono la realtà.
Inoltre, la sociologia della conoscenza, con contributi di autori come Durkheim e Berger & Luckmann, spiega come ogni società sviluppi un proprio ordine simbolico: un sistema di significati che guida la nostra comprensione del mondo e determina ciò che consideriamo “normale” o “vero”. La percezione diventa così il risultato di un processo di socializzazione che insegna cosa vedere e come interpretare ciò che si vede.
Gli studi più recenti invitano a superare la tradizionale separazione tra natura e cultura nella percezione visiva. La realtà è che questi due aspetti si influenzano reciprocamente in un processo di continua co-produzione. Di conseguenza, la capacità di riconoscere certi elementi visivi – come i rettangoli nelle città occidentali – non è semplicemente determinata dall’ambiente fisico, ma è il frutto di abitudini, pratiche e aspettative radicate nella cultura e nell’esperienza quotidiana.
