Uno schiocco di dita e la EMI non c’è più

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L’inghilterra e l’America hanno creato il mercato discografico (agli inizi del ‘900) e l’America ora lo controlla, diciamo per una buona parte. Il perchè? Non è difficile evincerlo leggendo qua e la le varie testate giornalistiche e le news.

Perchè oggi, sempre un minor numero di imprese tende a monopolizzare il mercato e gestire, dunque, la più ampia fetta di mercato.E tutto è orientato al profitto. Profitto, profitto e ancora profitto. Del resto chiaramente lo hanno dichiarato i dirigenti, ad esempio, di Live Nation che sono già impegnati a studiare nuove forme di profitto orientate al 2012. Oddio, cerchiamo di essere obiettivi: tirare fuori un “pacco” di soldi dalla propria attività, soprattutto se uno ha la fortuna di fare quello che gli piace nella vita, è legittimo e scontato (anzi sarebbe illogico il contrario, poichè  tutto risponde alla realtà universale del tornaconto individuale umano), ma se questa logica prevale su tutto, beh, arriviamo al punto dove siamo arrivati noi. Un punto di “non ritorno”. Talmente di non ritorno che da giorni è stata ufficializzata la notizia che la EMI (Electric adn Musical Industries), con sede a Londra, ha chiuso i battenti vendendo le proprie quote di mercato in parte alla Sony Industries Corp. e l’altra alla Vivendi Universal Music.

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Si, proprio la EMI proprietaria dello studio di registrazione più famoso al mondo gli Abbey Road Studios, dove hanno inciso nomi come Pink Floyd, Rolling Stones, Beatles (solo per citare alcuni dei nomi più importanti). Proprio la EMI casa discografica dei Sex Pistols, Radiohead e in Italia dei cd di Vasco Rossi dal 1989 ad oggi.

Un pò di storia. Il tutto comincia intorno agli inizi del ‘900, quando la musica popolare cominciò a circolare nel mondo, destinata a diventare un grande business; gli imprenditori e gli editori musicali cominciarono a dislocare i propri uffici a New York, vicino la 27ma strada, un’area che sarebbe stata ribattezzata “Tin Pan Alley”. Nel 1921, nei soli Stati Uniti si vendevano circa 100/105 milioni di dischi ogni anno, e la maggior parte venivano da Tin Pan Alley, ma il controllo del mercato si stava già spostando nelle mani dell’industria. Ecco perchè cominciarono proprio in quegli anni a svilupparsi numerose etichette discografiche, in particolare: 1924, (MCA) Music Corporation of America – Chicago; 1924, (DG) Deutsche Grammophon; 1926, la Genral Electric fondo la (RCA) Radio Corporation of America; 1928, (CBS) Columbia Broadcasting System; 1931, EMI (Electronic adn Musical Industries) – Londra.

Dopo un secolo di attività la EMI, per l’appunto, già in collasso finanziario da un paio di anni (venduta già alla Citigroup Bank, per l’occasione) e stata divisa in due parti: alla Sony le edizioni musicali per 2,2 miliardi di dollari, la Vivendi Universal proprietaria del catalogo discografico per 1,9 miliardi. Rob Wiesenthal, vicepresidente esecutivo e direttore finanziaro della corporation americana, ha dichiarato di voler rafforzare i ricavi e trovare un modo più efficiente per gestire gli asset, avvalendosi anche della collaborazione di Martin Bandier(ceo di Sony/ATV), già della EMI prima di ricoprire l’attuale carica in Sony Corp. Il “come”, però, ancora non è stato specificato. Che dire: chi vivrà vedrà!

Siamo arrivati al punto che con uno schiocco di dita (e qualche movimentazione di denaro), cancelliamo le tracce di qualsiasi cosa. Ecco perché, bisogna promuovere le etichette indipendenti.

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