Antony and the Johnsons emoziona Sanremo con “You Are My Sister”

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Antony Hegarty - Antony and the Johnsons | © FABRICE COFFRINI/AFP/Getty Images

Fazio Fazio visibilmente commosso da Antony and the Johnsons sarà una delle immagini che rimarranno maggiormente vivide ricordando questo Festival di Sanremo 2013. Ospiti molto particolari scelti accuratamente da Fabio Fazio che come ha più volte ribadito ha voluto puntare sulla qualità: “Il Festival della qualità”, “Il Festival delle idee”.

Ieri, circa a metà puntata, è uscito sul palco dell’Ariston Antony Hegarty e il mondo improvvisamente si è fermato. Una voce o meglio la voce. Sentir cantare Antony Hegarty è qualcosa di mistico e magico, sembra di stare fra quei pochi, pochissimi eletti che meritano di sentire una voce così cristallina ma nello stesso tempo sofferta, di ascoltare la sofferenza assieme alla purezza.

Qualche minuto dopo la sua esibizione, Luciana Littizzetto scherzando (o forse no), materializza mediante le parole ciò che tutti noi abbiamo pensato “Perché Fazio ha lasciato andare via Antony così velocemente?”

Dopo la magica “You are my sister”, i minuti successivi sono stati come una bolla instabile. Noi di MelodicaMente stavamo facendo la cronaca sia su Twitter sia mediante il nostro Live Blogging ma è stato necessario fermarsi, almeno un attimo. Immagazzinare questa esibizione superba e sublime, non ci ricapiterà presto di sentire Antony and the Johnsons in Italia, in una tv italiana. Un momento da riascoltare e ricordare, ricordare e riascoltare. Della storia degli Antony and the Johnsons abbiamo già parlato ieri quando abbiamo introdotto Antony Hegarty, prima ancora che salisse sul palco.

Antony Hegarty - Antony and the Johnsons | ©  FABRICE COFFRINI/AFP/Getty Images
Antony Hegarty – Antony and the Johnsons | © FABRICE COFFRINI/AFP/Getty Images

 

Viene quasi spontaneo dire che l’esibizione è stata qualcosa che non si rivedrà presto al Festival di Sanremo. Unica pecca di questo momento magico, la standing ovation. Il pubblico dell’Ariston si era addormentato? Voglio credere e pensare che anche loro sono rimasti inebetiti da tutta questa classe trasformata in musica, da questa voce che commuove facendo alzare brividi sparsi per il corpo di almeno qualche centimetro. Antony Hegarty però un applauso sentito, un applauso lungo qualche minuto se lo sarebbe proprio meritato.

Antony Hegarty è pura magia anche quando parla. Infatti, subito dopo l’esibizione avvenuta con lui al piano e una piccola “delegazione” dell’orchestra ad accompagnare l’esibizione, Antony spiega l’origine di questa canzone “You are my sister” scritta dalla sorella di Antony e solo successivamente diventata patrimonio degli Antony and the Johnsons. Antony ama profondamente il mondo femminile ed è un piacere sentire parlare di salvezza, del potere delle donne, in una serata dove anche Lucianina Littizzetto ha voluto creare una sensibilizzazione verso le donne e contro le violenze di cui spesso sono protagoniste.

Concludendo, Antony and the Johnsons sono la materializzazione della musica. Quel qualcosa che dovrebbe sempre esserci quando si va su un palcoscenico e si tenta di conquistare la platea. Antony Hegarty punta sulla sua voce, sull’emozione, sull’elevazione verso mondi sconosciuti agli esseri umani ma esplorati dalla sua mente brillante. Ci troviamo davanti ad un vero e proprio mito della musica, e quando si parla di “mito” non si deve solo pensare alle icone storiche. Antony Hegarty di storico non ha praticamente nulla, non ha mai giocato carte comuni per imporsi e per conquistare il successo, Antony and the Johnsons sono la voce. Una voce che risuona ancora, anche dopo che la canzone è finita. Verrebbe da dire che i giovani cantanti o aspiranti tali dovrebbero imparare da Antony Hegarty, imparare che la musica deve essere totalitaria e non un fine per il successo. Non tutti però godono di una voce in grado di toccare l’intimo delle persone, tasselli interni che si risvegliano grazie all’emozione. Ci alziamo in piedi noi e facciamo un lunghissimo applauso ad Antony and the Johnsons, regaliamo, metaforicamente, la mancata standing ovation.

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