Bjork: “Vulnicura”. La recensione

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Facilità d’ascolto non è mai stata priorità per Bjork in ogni singolo passo musicale compiuto, né con “Vulnicura” ha deciso di cambiare direzione. Un album travagliato e un’uscita improvvisa sul web non ci hanno permesso di metabolizzare abbastanza un’uscita discografica importante, ma come sempre la cantante e musicista islandese ci spiazza completamente, allontanandoci dall’idea che ci eravamo fatti con “Biophilia“. Non più suoni distaccati e brani esplorativi, ma un vero e proprio viaggio nell’emotività e nel dolore artistico di chi non ha mai dispensato felicità e leggerezza. Diverso da tutti gli altri, ma legato visceralmente ad ogni singolo album predecessore, “Vulnicura” potrebbe essere inteso come un’opera omnia della vita di una cantante che sempre di più con il dolore e la sofferenza riesce a descrivere magicamente qualcosa che non si può toccare né si può sentire, ma che si può avvertire.

Un continuo viaggio esplorativo in un’emotività drammatica strettamente connessa ad una poetica musicale che solo negli anni con la delicatezza di Bjork abbiamo potuto conoscere. Non è il caso di dire che si è superata, ma è certamente tangibile la meraviglia che percuote ognuno di noi all’ascolto di ogni singolo brano.

Bjork - Vulnicura - Album
Bjork – Vulnicura © Artwork

Nella maggior parte dei casi si fa presto a riempire di paroloni e descrivere con grande effetto un tipo di lavoro come questo quando un’artista ha sempre brillato per singolare personalità e artisticità, ma in realtà è più semplice di quel che si pensa, soprattutto quando si parla di emozioni.
Non di facile ascolto né di piacevole passatempo si sta parlando, l’ascolto richiede molto impegno e se alla seconda traccia non vi sentite ancora pronti forse è il caso di riprendere in un momento favorevole che possa dare il giusto valore ad un piccolo capolavoro di complessità musicale. L’orchestra avvicina un po’ di più il genio del nord ai suoi ascoltatori, i quali erano stati abituati a virtuosismi di musica elettronica, tanto complessa quanto sterile. Gli archi e i decori musicali rendono meno difficile la comprensione di un dolore che va oltre ogni emozione e che ci lascia perennemente in “astonishment” di fronte a tanta grandezza.

Torna la melodia,  ma si fa sempre meno equilibrata, diventa sempre più frammentata, il che provoca delle reazioni discontinue. Siamo sempre stati abituati ad avvicinarci alle intenzioni di Bjork piuttosto che trovare l’artista accanto a noi, e anche questo la rende unica nel suo genere. “Stonemilker” è un inizio saturo di quei manierismi caratteristici di una ricchezza orchestrale, la stessa Bjork per il suo ottavo lavoro ha deciso di scrivere direttamente per gli archi, elemento chiave di “Vulnicura“. In sottofondo si percepisce un continuo movimento nervoso e impaziente, un micro cosmo in continuo sviluppo e in continuo fermento, un inizio di grande impatto che rapisce e ti trascina in una dimensione parallela tanto meravigliosa quanto drammatica. Le stesse parole ci lasciano intendere una premessa doverosa all’intero ascolto “we have emotional needs, I wish to synchronize our feelings, show some emotional respect“, subito smentita da una “Lion Song” tutt’altro che dolce e sentimentale, ricca di vocalizzi che ci calano in una dimensione scura e gotica nel senso opposto rispetto al sentimento della prima traccia. Si susseguono brani che si distaccano completamente dalla storia dell’introduzione tanto ricca, e che ci ricordano il lato “sintetico” di Bjork nonostante abbiano racchiuso melodie percepibili nella loro profondità.

Poche tracce lunghe, un album molto sentito e tanto desiderato, simbolo che si può cambiare e ci si può immergere in differenti correnti artistiche nonostante possa sembrare un processo irreversibile, a  dimostrarlo la chiusura futuristica con “Mouth Mantra” e “Quicksand“, momenti clou e inaspettati rispetto all’impressione che abbiamo avuto inizialmente. Un disco da prendere a piccole dosi, da valutare piano e da metabolizzare.

Eterno, profondo, curioso, criptico, questi sono gli aggettivi giusti che ci invitano ad avvicinarci ad un lavoro come “Vulnicura“, quasi eterno e senza tempo che potrebbe risultare un momento autocelebrativo per la carriera di un’artista che non ha limiti da porre alla sua artisticità e alle sue ispirazioni. Non è facile percepirne il valore, necessita di una predisposizione emotiva, che probabilmente nemmeno nelle ispirazioni future di Bjork troveremo.

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