Dido, “Girl Who Got Away”. La recensione

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Dido

Dido torna nel mercato discografico con l’album “Girl Who got Away” quarto tassello del mosaico discografico della cantante britannica classe 1971. Pubblicato dall’etichetta RCA/Sony Music lo scorso 5 marzo 2013 “Girl Who got Away” rappresenta il discriminante perfetto che mette in luce tutte le qualità canore e di scrittura dell’artista inglese: voce metallica ed introspettiva, testi al limite dell’ermetismo e un sound che si lascia apprezzare in toto, un invito d’ascolto anche per i più scettici e conservatori; campionature e loop elargiscono un senso di freschezza che non discostano di molto dallo stile pop caratteristico di Dido.

Scomparsa dalla scena musicale dopo “Safe Trip Horn” (2008) il periodo di esilio sembra aver giovato all’artista, capace di ritrovare se stessa dopo i grandi successi raccolti dalla pubblicazione dei primi due album “No Angel” (2000) e “Life For Rent” (2003) – considerato anche il primo esperimento datato 1999 dal titolo “One Step too Far”, un miscuglio di campionature house-techno-minimal – successi che hanno catapultato Dido tra l’olimpo degli artisti più apprezzati del panorama musicale mondiale con all’attivo 29 milioni di copie vendute. Ecco come presenta l’album la stessa autrice:

Fare questo disco è stato davvero divertente. Non ho sentito nessuna pressione, è stato tutto molto naturale e facile. Il brano che da’ il titolo al disco è una delle canzoni che preferisco tra quelle contenute nell’album, ma credo che riassuma anche gli ultimi anni. L’essermi allontanata dalle scene per vivere la felice avventura di metter su famiglia e realizzare un album del quale sono davvero orgogliosa. E adesso non vedo l’ora di farvelo ascoltare.

Dido - Cover "Girl Who Got Away"
Dido – Cover “Girl Who Got Away”

L’album ha visto la sua genesi con il singolo “No Freedom”, una ballata pop semplice e genuina caratterizzata dal ripetersi del ritornello “No Love without Freedom”: nomi di spicco hanno collaborato alla realizzazione dell’album, dal fratello Rollo Armstrong (che ha prodotto buona parte dell’album) a Brian Eno passando per Jeff Bhasker, Rick Nowels e Greg Kurstin fermo restando il fatto che l’autrice unica dei testi è lei in persona, Dido. La prima cosa che risalta all’orecchio è il fatto che con un certo margine di sicurezza questi brani rappresentano terreno fertile per i Dj – non a caso tra le collaborazioni spicca il nome di Brian Eno un maestro nel campo dell’elettronica e campionature synth-pop.

L’album si apre con la ballata “No Freedom”, un giro di chitarra formato da 4 accordi che rievoca l’atmosfera di alcuni lavori precedenti (fra tutti, il successo “White Flag”) la voce inconfondibile si fonde con il tocco magico del produttore statunitense Rick Nowels: genuina. L’atmosfera epica del secondo brano che da il titolo al nuovo lavoro discografico rende giustizia alla capacità compositiva di Dido e all’inventiva del fratello Rollo: un crescendo che culmina con l’utilizzo di loop e campionature, un’esplosione di energia, evocativa l’intento celato nel titolo: “Girl Who got Away”.

“Let Us Move On” è la terza traccia che segue l’andamento delle prime due: canzoni in crescendo ed atmosfera epica che culmina con un flow tipico della tradizione hip-hop ad opera di Kendrik Lamar. “Blackbird” quarta traccia dell’album cambia le carte in tavola così come la successiva “End of the Night”: mischiano in sé campionature minimal ed electro-pop ma a fare da padrona è la voce di Dido, incisiva; la differenza risiede nel fatto che “End of the Night” ha un ritmo più incalzante rispetto la precedente.

“Sitting on the Roof of the World” si apre con un arpeggio di chitarra che richiama un pò la prima parte dell’album: se dovessimo dividere la tracklist è questo il brano che sancisce la linea di demarcazione tra la prima parte (epica) e la seconda parte (ermetica). Un esempio chiaro è offerto dall’utilizzo dei synth che si apprezzano nel brano “Love to Blame”. Particolare attenzione merita il brano “Day Before We Went to War” composto in collaborazione con Brian Eno (a discapito di “Go Dreaming”, “Happy New Year” e “Loveless Heart” che possiamo considerarli dei brani di rimpimento) : non vuole essere per nulla uno sterile paragone, ma l’atmosfera richiama in parte un precedente lavoro già composto da Eno (“My Life in the Bush of Ghost”) dove con l’ausilio degli archi si apprezza tutto il lato introspettivo a tratti romatico di Dido: ascoltare per credere.

Un disco frizzante, epico ai limiti dell’ermetismo – caratteristiche che rispecchiano lo spietato romanticismo delle composizioni di Dido. Attendiamo magari i dati di vendita, ma il lavoro avrà il giusto riconoscimento.

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