Goo Goo Dolls: “Magnetic”. La recensione

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Goo Goo Dolls - "Magnetic" - Artwork

Ricordate “Iris“, canzone tormentone di qualche anno fa? Ricordate il gruppo che la suonava? Ecco, quel gruppo (per la cronaca i Goo Goo Dolls) sono tornati con il loro decimo album in studio, “Magnetic“, registrato per l’etichetta Warner Bros Records agli Henson Recording Studios di Hollywood e ai Quad Studios di New York City con i produttori John Shanks e Gregg Wattenberg.

Il disco era stato anticipato da alcune interviste al leader della band John Rzeznik nel 2011:

“Sto attualmente sperimentando molto mentre siamo in tour, scrivendo testi e provando nuove melodie. Non possiamo aspettare altri quattro anni per far uscire un disco: è una ridicola perdita di tempo”.

Il nuovo disco dei Goo Goo Dolls (che ricordiamo formati da John Rzeznik alla voce e chitarra, Robby Takac al basso e cori e Mike Malinin alla batteria), anticipato dal singolo “Rebel Beat” ed aperto dallo stesso, è composto da 11 canzoni per un totale di 39 minuti ed ha ricevuto critiche contrastanti appena uscito, con molti degli addetti ai lavori che hanno lamentato un certo piattume ed un certo avvicinamento troppo marcato al mainstream.

Se il buongiorno si vede dal mattino, al primo ascolto sono rimasto alquanto perplesso anche io. “Rebel beat” è un pezzo molto pop che non mi sarei mai aspettato di ascoltare suonato dai Goo Goo Dolls. La sensazione di smarrimento non migliora con il brano successivo, “When the World Breaks Your Heart“, un pezzo che non lascia molte tracce di sé in memoria una volta ascoltato.

La situazione migliora leggermente con il ritmo di “Slow It Down” e con “Caught in the Storm“, due brani che, per quanto non fondamentali nella storia della musica, non fanno storcere il naso dell’ascoltatore e che probabilmente daranno il meglio di sé in una dimensione diversa, magari dal vivo.

Goo Goo Dolls - "Magnetic" - Artwork
Goo Goo Dolls – “Magnetic” – Artwork

Improvvisamente nel disco irrompono il country-folk di “Come to Me”  ed il pop-rock di “Bringing on the Light“, uno dei due pezzi cantati da Robby Takac, ed il disco migliora nettamente, come dimostra anche il pop elettronico di “More of You“. Sembra che, passando dalla produzione di Wattenberg a quella di Shanks, sia cambiato qualcosa di profondo a livello di concezione del disco.

Bulletproofangel“, prodotta da Rzeznik insieme ad Andy Stochansky, rappresenta un caso isolato nel disco, un brano molto particolare e che fa salire nettamente la scrittura del disco e la sua quotazione. Peccato davvero che sia un caso isolato, come si nota con il brano successivo, “Last Hot Night“, dal registro pop-rock completamente differente.

Il disco si conclude con la seconda canzone cantata da Takac, “Happiest of Days“, una ballad chitarra, violino e voce dal sapore molto american pop (e che si presta ad essere una canzone da avere sempre nello stereo dell’auto prima di un viaggio) e con “Keep the Car Running“, altro brano senza infamia e senza lode.

Alla fine dell’ascolto, capisco appieno le perplessità che erano circolate su questo disco al momento della sua pubblicazione: Rzeznik aveva detto che per lui era una ridicola perdita di tempo aspettare quattro anni prima di far uscire un altro disco. Forse però quattro anni possono essere un tempo necessario per fare un disco che non piombi nell’anonimato poco dopo la sua uscita. “Magnetic” è un disco secondo me troppo fragile dal punto di vista musicale: la scarsa variabilità delle sue soluzioni musicali e il confluire così smaccatamente nel pop più pop che c’è non ha donato ai Goo Goo Dolls, se è vero che solo una traccia, “Bulletproofangel“, si laurea a pieni voti, mentre le altre annaspano nel già sentito o nel non eccezionale. Un’occasione sprecata. Un disco che, almeno per me, non raggiunge la sufficienza: più che magnetico, questo disco sembra troppo arrugginito.

 

1 COMMENT

  1. da fan dei Goo Goo Dolls concordo con la tua recensione parola per parola, sono molto deluso, l’unica canzone che spicca davvero è “bulletproofangel”…un vero peccato…

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