Kasabian: “48:13”. La recensione

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Kasabian - 48:13 - Artwork

Di sicuro i Kasabian sono stati bravi a creare un mito molto “Eez-Eh” intorno alla pubblicazione del loro quinto album in studio “48:13”. Sergio Pizzorno in persona ci spiega il perché di quel titolo tanto banale ma carico di effetto: “48:13” è semplicemente la somma della durata delle canzoni presenti nel loro quinto tassello discografico, pubblicato per l’etichetta Sony Music Italia.

13 brani formano la tracklist, un intro, un preludio, un interludio e tante sperimentazioni che non rendono comunque il lavoro banale. Banali non lo sono mai stati i Kasabian, chiariamo, ma “48:13” è giusto a metà strada tra un buon disco da ascoltare ripetutamente e uno da ascoltare per il solo gusto di farlo.

Seguendo un pò l’evoluzione musicale – nonchè stilistica – dei Kasabian senza ombra di dubbio possiamo affermare che il proprio sound lo hanno trovato. A dar man forte all’intera faccenda è anche il talento naturale (creativo) di Sergio Pizzorno e un forza incredibile che sfoderano sul palco. Ma ancora non convincono del tutto il grande pubblico, fosse neanche per l’intera operazione di imaging creata attonro a “48:13”: tutto rosa punk, dice Pizzorno. Forse il contrasto con il nero rende bene l’idea.

Kasabian  - 48:13 - Artwork

Tuttavia la chiave di volta è la semplicità. Sì, in questo album, dal primo ascolto, si avverte la semplicità con cui è stato ideato e registrato, pochi suoni ma efficaci, liriche molto semplici, e una massiccia dose di sintetizzatori che cavalcano l’onda dei tempi che sono, abbandonando quasi (se non del tutto) il buon disco da ascoltare ripetutamente quale fu il predecessore “Velociraptor”.

Il potente “Bumblebee” (l’immaginazione si sposta sull’impatto che un brano del genere può generare durante un concerto) secondo brano della tracklist è anticipato da “Shiva”, un ottimo intro per una ancor più ottima capacità espressiva: un viaggio interstellare ridotto ai minimi termini, efficace, diretto, ottima capacità di sintesi. Che ben si sposa con le chitarre sparate ad alto volume e l’organo di “Bumblebee”. Salvo la parentesi di “Doomsday” che chiude una parentesi di stasi dell’album (prima “Stevie” e poi “Mortis” che ricalcano sonorità e contenuti già ripresi dai Kasabian nei precedenti lavori) il viaggio continua con l’ottima “Treat”, sound futuristico complice l’ottima partitura rock della chitarra made by Pizzorno.

“Glass” con il suo sali-scendi scandito a ritmo di sintetizzatori, ritornello a parte, fonde alla meglio il flow hip hop e l’atmosfera spaziale di cui è intriso tutto “48:13”. Esperimento ripreso in parte anche in “Explodes”. E concluso con i 1:19 minuti di “Lievitation”. Un bel trittico, degno di nota.

Comincia con “Clouds”, infine, la parentesi finale tutta elettro-dance di “48:13”: potenza sul finale con “Eez-Eh” che non ha bisogno di presentazioni.

Tirando le somme, “48:13” non ci dice nulla di nuovo dal fronte: i Kasabian hanno ben capito qual è l’onda da cavalcare per restare al passo dei tempi e ci sono riusciti egregiamente. Un disco comunque degno di nota, da non buttare nel dimenticatoio, vuoi per le sperimentazioni, vuoi per la semplicità del viaggio spaziale che non risulta mai banale. Ma siamo ancora distanti dal lavoro intramontabile che ci si aspetta da una band che sempre più cresce di credibilità. In bocca al lupo!

 

 

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