Matthew Herbert: “The end of silence”. La recensione

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Matthew Herbert - "The end of silence" - Artwork

Ci sono pochi artisti nella scena musicale elettronica che possono vantare un curriculum pari a quello di Matthew Herbert, genio indiscusso della musica elettronica e di un certo modo di fare interagire anche generi musicali distanti come la techno e il jazz. Il genio è tornato dal suo letargo ed ha pubblicato un disco, “The end of silence”.

Partiamo subito dicendo che è un lavoro alquanto particolare: il progetto ha solo 3 tracce, numerate “1”, “2” e “3”, e con questo progetto Herbert spinge ancora più in là, ove fosse possibile, il suo credo musicale fatto di campionamenti, manipolazioni e ripetizioni dei suoni per dare una chiave di lettura concettuale (e anche politica) della vita attraverso la musica.

Molti conoscono Herbert per le sue prime esperienze nei Rave, per le sue canzoni techno e house, e pochi hanno seguito il dj nel suo cammino che, partendo dal noise e dell’industrial, lo hanno portato lungo una strada personalissima fatta di suoni, di sbavature, di riletture attraverso i suoni degli avvenimenti che ci circondano.

Per questo disco “The end of silence” Herbert si è basato su una registrazione del giornalista Sebastian Meyer fatta a Ras Lanuf in Libia durante lo sgancio di una bomba da un aereo dell’aviazione di Gheddafi ed il nuovo lavoro di Herbert, che vede anche la collaborazione di Sam Beste, Tom Skinner e Yann Seznec, cerca di spiegare quel momento, quell’attimo e quel pezzo di storia attraverso un’operazione di rimodellamento sonoro della realtà, come già fatto in precedenti lavori come “ReComposed”: in pratica tentare di capire cosa ci sia di così spaventoso nello sgancio di una bomba attraverso il suono stesso dello sgancio.

Matthew Herbert - "The end of silence" - Artwork
Matthew Herbert – “The end of silence” – Artwork

Analizziamo il disco. “Part 1” è un lungo momento in sospensione, al confine tra l’ambient ed il noise, che sembra uscito pari pari da una sceneggiatura di qualche film apocalittico di ultima generazione o da qualche horror adventure game per PC: uno stato di sospensione, di ansia e di attesa palpabile. “Part 2” invece è una spirale alimentata a rumore dove dai suoni di guerra si estrae una matrice sonora ossessiva tipicamente techno che porta fino all’apice finale distruttivo e destrutturato, quasi come se fosse un monito. Con “Part 3” il ritmo sembra quasi una carezza rispetto al pugno nello stomaco precedente, ma, nonostante le sirene che sembrano ammaliare l’ascoltatore, tutto si svolge in previsione del dramma finale, sempre presente grazie alle schegge di campionamento che riportano alla dura realtà della guerra, della morte e della caducità umana fino all’esplosione e alla sbavatura finale così drammatica e riconoscibile.

Ci troviamo di fronte ad un progetto musicale ed artistico che definire “disco” è riduttivo. Herbert attraverso il suono nella sua natura più pura ed intima, più scomposta ed originaria cerca di trovare il senso delle cose, il bandolo della matassa, il perché la guerra faccia paura. Il risultato finale è particolarissimo e lascia con un senso di angoscia palpabile: l’ultimo minuto di “Part 3”, dopo lo sgancio della bomba, quel silenzio così assordante lascia spazio ad un piccolo cicalino digitale quasi straniante rispetto a tutto il disco, quasi fuori luogo, quasi come se la macchina avesse preso, dopo la visione di uno spettacolo del genere, il posto dell’uomo per dire che è finita qui, che si può chiudere tutto e andare a casa, che non c’è più nessuno da salvare. Nemmeno noi.

 

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