Beyoncé: “Lemonade”. La recensione

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Beyoncé - Lemonade - Artwork

A tre anni di distanza dalla pubblicazione del suo omonimo album arriva a sorpresa “Lemonade“, il nuovo sesto disco di Beyoncé, anche se di vera e propria sorpresa non sarebbe il caso di parlare, visto che la cantante americana aveva annunciato un tour mondiale per questa estate e aveva partecipato ad uno speciale su Beyoncé sul canale via cavo americano HBO che conteneva un video per ciascuna delle 12 canzoni di “Lemonade”.

12 canzoni accompagnate da altrettanti video, quindi, per un “visual album” che è stato promosso dal singolo “Formation” il cui video era stato pubblicato in occasione dell’ultimo Super Bowl, nel cui intervallo si è esibita Beyoncé: una presentazione molto particolare per un disco che può vantare oltre cento collaborazioni tra cantanti, musicisti, produttori e autori e con quattro featuring nel disco tra cui il rapper Kendrick Lamar, The Weeknd e James Blake.

“Lemonade” è stato definito dalla stessa artista come “un progetto concettuale sul viaggio di auto-conoscenza e guarigione che ogni donna intraprende“, e non c’è definizione migliore, visto che nei testi vengono affrontati numerosi temi importanti tra cui l’identità nera, l’infedeltà coniugale, il femminismo e la solidarietà tra le donne e che nei brani si trovano versi della poetessa somala Warsan Shire. Forse c’entra qualcosa la tanto dichiarata love story tra Jay-Z e prima Rachel Roy, designer americana, e dopo Rita Ora, cantante anglo-albanese. Ma non è il gossip che a noi interessa: noi siamo per la musica, e recensiremo il disco dal punto di vista musicale.

Beyoncé - Lemonade - Artwork

Diamo il via alle danze: “Lemonade” è un album prodotto dalla Parkwood Entertainment e distribuito dalla Columbia Records: contiene dodici canzoni per quasi 46 minuti di musica e il titolo è stato scelto dalla cantante grazie alla nonna di Jay-Z Hattie White, come si puà sentire alla fine della canzone “Freedom“: la donna, parlando ai suoi parenti in occasione del suo 90esimo compleanno, ha detto: “I had my ups and downs, but I always found the inner strength to pull myself up. I was served lemons, but I made lemonade. (Ho avuto i miei alti e bassi ma ho sempre trovato la forza interiore per tirarsi su. Mi hanno servito dei limoni ma io ne ho fatto una limonata.)”

Il disco comincia con l’elettronica di “Pray you catch me” che dopo un inizio stentato decolla e diventa una canzone di impatto che si basa sulla voce di Beyoncé e sull’organo che la accompagna: con “Hold up” troviamo una sere di campionamenti, da“Can’t Get Used to Losing You”di Andy Williams a “Maps” degli Yeah Yeah Yeahs e “Turn My Swag On” di Soulja Boy. E’ un pezzo in cui riemerge una delle tante anime di Beyoncé, quella con cui fonde hip-hop e funky con un risultato piacevole soprattutto nel ritornello. “Don’t hurt yourself” vede la prima partecipazione, quella del chitarrista Jack White che suona un sample di “When the Levee Breaks” dei Led Zeppelin in un prezzo “cattivo” il giusto ma senza molto impatto radiofonico.

Sorry” è un brano che intercetta le ultime mode musicali, soprattutto americane, grazie alla partecipazione dietro le quinte di Hit-Boy e un testo al vetriolo, mentre “6 Inch” vede il featuring di The Weeknd e due samples: uno di Burt Bucharach (“Walk on by”) e uno degli Animal Collective (“My girls”) per il completamento di un pezzo della storia legato alle prime tracce. Tra la prima parte e la seconda parte del disco fa da collegamento “Daddy lessons“, bellissimo pezzo tra il blues e il country, uno dei migliori del disco preso singolarmente.

Con “Love drought” entriamo alla grande nella seconda parte del disco grazie al suo pop moderno e qui subito troviamo il pezzo più melodico del disco, “Sandcastles“, solo voce e pianoforte, una dichiarazione di donna tradita e arrabbiata a cuore aperto (“And your heart is broken cause I walked away/Show me your scars and I won’t walk away/And I know I promised that I couldn’t stay, baby/Every promise don’t work out that way/” “E il tuo cuore è infranto perchè sono andata via/Mostrami le tue cicatrici e non andrò via/Lo so che ho promesso che non potevo rimanere, baby/Ma le promesse non funzionano così”). Questa terzina si chiude con “Forward“, brano che vede la partecipazione di James Blake, o sarebbe meglio dire che è Beyoncè che fa da corista a Blake per un minuto e mezzo per un brano stranissimo e a tratti inquietante.

Kendrick Lamar trova la sua collocazione in “Freedom“, brano che contiene i campionamenti di “Let me try” dei Kaleidoscope, di “Collection Speech/Unidentified Lining Hymn” di Reverend R.C. Crenshaw e di “Stewball”, noto canto dei prigionieri del Penitenziario di Stato del Mississippi: tutti questi mattoni costruiscono una canzone che richiama alla mente con la sua coralità i canti di protesta degli anni Sessanta. “All night” contiene un sample di “SpottieOttieDopaliscious” degli Outkast per una bellissima canzone che parla di amore tradito e di cosa si è disposti a cedere per amore e di quanto le bugie facciano male. L’album si conclude con “Formation” che vede la partecipazione di Messy Mya e un sample di”The Court of the Crimson King” dei King Crimson completamente destrutturato e trasformato in un bravo hip-hop che farebbe l’invidia di Nicki Minaj.

Lemonade” è un disco che è difficile prendere se non lo si esamina nel complesso, vista la sua struttura e la sua natura: il concetto di “visual album” ben si adatta a questo lavoro, basato moltissimo sulle emozioni personali e sul proprio bagaglio culturale e umano, senza fare troppi calcoli ma cantando in modo diretto e cattivo. Con questo album Beyoncé Knowles proietta un’immagine di star diversa dal solito, rinfacciando a tutto il circuito mainstream la sua doppia figura di cantante donna e di colore in un mondo ancora molto maschilista. E’ un liberarsi da molte catene, sia musicali che ideologiche, e lo dimostra l’aver pescato tantissimo in tanti generi differenti con i moltissimi samples e interpolazioni presenti in tutto “Lemonade”. Questo album va ascoltato per intero per quello che è, ovvero un disco che non è fatto per compiacere il pubblico ma per narrare un qualcosa di sé senza compromessi, come in un libro, e per questo è difficile prendere qualche canzone singolarmente ed estrapolarla. Quindi, buon ascolto e ricordatevi: “middle fingers up“.

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