Dropkick Murphys: “11 short stories of pain and glory”. La recensione

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Nel maggio del 2016 la band dei Dropkick Murphys ha cominciato a postare alcuni video che la ritraevano nella cittadina di El Paso in Texas mentre si trovavano alle prese con il loro nuovo disco la cui uscita era stata preannunciata per il novembre dello stesso anno.

Dopo la pubblicazione dei singoli “Blood”, “You’ll Never Walk Alone” e “Paying My Way” la band ha poi pubblicato il suo nono album, “11 short stories of pain and glory”, all’inizio di quest’anno per l’etichetta Born & Bred Records. Il disco è stato poi presentato da un minitour che si è concluso il giorno di San Patrizio a Boston. Sul perchè il disco sia stato registrato in America queste sono le parole di Ken Casey: “Per me, tutto parte dalla decisione che abbiamo preso di andare in Texas, perchè non abbiamo mai lasciato casa per registrare un disco (la band è di Quincy, Massachusetts, NdR). Da quando le vite di tutti noi sono diventati più impegnate tra bambini e famiglia, è diventato più difficile incontrarsi. Abbiamo deciso di lasciare Boston, radunarci letteralmente in mezzo al nulla e chiuderci in una stanza per stare insieme.”

“11 short stories of pain and glory” è il primo disco dei Dropkick Murphys dal lontano 2013, anno di uscita di “Signed and Sealed in Blood” ed è il primo disco senza il suonatore di cornamusa Scruffy Wallace che ha lasciato la band nel 2015 ed è stato sostituito da Lee Forshner, che segue anche la band nei tour. Gli altri membri del gruppo sono Al Barr (voce), Tim Brennan (Chitarre, accordion, Mellotron, flauto di latta), Ken Casey (basso e voce), Jeff DaRosa (banjo, bouzouki, mandolino, armonica, chitarre acustiche), Matt Kelly (batteria e percussioni) e James Lynch (chitarra), con l’aiuto extra di Ted Hutt alle percussioni.

Il disco è stato influenzato dal lavoro che il gruppo ha fatto con il The Claddagh Fund, un’organizzazione nata nel 2009 con lo scopo di aiutare i veterani e le persone tossicodipendenti. Questo si riflette sui testi di molte canzoni come “Rebels with a Cause” che parla dei bambini che non ce la fanno e che sono lasciati indietro da un sistema che li vede senza più nessuna speranza o “Paying My Way” che parla di come le dipendenze influenzino la vita delle persone e i loro sogni. La band ha anche scritto di attualità come in “4-15-13“, brano che rende omaggio alla strage compiuta durante la Maratona di Boston e che ha visto i membri della band andare personalmente in ospedale a visitare i feriti: “Da quel giorno abbiamo pensato che non cogliere l’occasione di scrivere una canzone su tutto quello che è successo sarebbe stata una cosa da codardi. Abbiamo messo più attenzione nello scrivere quel pezzo che mai prima d’ora, perchè se avessimo voluto parlare di quello che è successo avremmo dovuto farlo nel modo giusto. Abbiamo vissuto tante emozioni con quell’esperienza, così come tutti a Boston, e la città e cambiata per sempre.”

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Dropckick Murphys – “11 short stories of pain and glory” – Cover

Il disco, per il resto, calca le strade che hanno portato al successo i Dropkick Murphys, ovvero un celtic punk/folk punk che subito si esprime con il primo brano strumentale “The Lonesome Boatman” e con il pezzo “First Class Loser” anche se la band sa assumere anche toni più morbidi e propri del rock come per esempio in “Blood” (anche se i cori e le cornamuse sono immancabili) e in “Sandlot” . Il disco si traveste quando va a pescare nel country con un brano come “Paying My Way” mentre invita al pogo con “I Had a Hat“, brano che sembra pescato da una tradizionale giga irlandese e cover molto energetica dell’omonimo pezzo di Allison Crowe.

Kicked to the Curb” è il classico brano alla Dropkick Murphys, da gustare davanti ad un boccale di buona birra mentre si ciondola la testa al ritmo della musica. La scelta invece di suonare la celeberrima “You’ll Never Walk Alone” è stata molto particolare, a detta di Casey: “Come forse saprete, le overdose di oppiacei sono un caso in America soprattutto nella nostra zona. Ho visto trenta casi in due anni, tre solo questa settimana, uno ha coinvolto un mio cugino e un altro ha visto morire un fratellastro di Al. Ci riguarda da vicino. Stavo lasciando una veglia funebre e mi è venuta questa canzone in mente e leggendo il testo descriveva perfettamente come mi sentivo, triste ma consapevole del fatto che comunque c’era speranza. Nessuno dovrebbe mai essere solo. Spero vi piaccia la nostra versione.” Il disco si commiata con “Until the Next Time“, il brano più lento di tutto l’album con molte sonorità anni ’90 che richiamano alla mente i Madness e gli Specials.

Tim Brennan ha descritto così il disco: “Siamo rimasti fedeli a quello che la band è ed è sempre stato. E continuiamo ad evolverci nel sound e nei testi”. Direi che affermazione migliore non ci poteva essere. Ci sono voluti quattro anni e tanti sforzi per rimettere insieme i Dropkick Murphys in studio per registrare questo “11 short stories of pain and glory” ma credo che ne sia valsa la pena alla fine. Il disco è quello che ci si sarebbe aspettato da loro, non una goccia di più e non una di meno, con in aggiunta una attenzione verso i temi sociali che lascia ben sperare per il futuro e che fa venire in mente i Clash dei bei tempi andati, forse anche per il sound, così diverso ma in fondo così simile. Questo album è un graditissimo ritorno e segna una nuova epoca d’oro per tutti gli amanti del celtic punk. Rispolverate i cappelli e preparate i boccali, perchè i Dropkick Murphys sono tornati. E alla grande.

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