Muse: “Drones”. La recensione

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Muse - Drones - Artwork

Era una delle uscite discografiche più attese di tutto il 2015 ed è finalmente comparso nei negozi e in tutti i digital stores “Drones“, il settimo album in studio del gruppo musicale britannico Muse, pubblicato l’8 giugno 2015 dalla Warner Bros Records.

Il disco, anticipato dai singoli “Dead inside” e “Mercy“, è stato così descritto da Matthew Bellamy, storico frontman della band: “Negli ultimi due dischi ci siamo allontanati un po’ da quelli che sono i nostri veri strumenti, concentrandoci su sintetizzatori, batterie elettroniche, effetti vari e via di questo passo. Sento che per il prossimo disco torneremo verso una musica “suonata”, torneremo ad usare i nostri soliti strumenti, ossia chitarra, basso e batteria. Sarà un disco in qualche modo più grezzo, di certo più rock.

 

Drones” completa una ipotetica trilogia cominciata nel 2009 con “The Resistance” e proseguita nel 2015 con “The 2nd Law“, una trilogia in cui la band si è avvicinata a tematiche come ecologia, Terza Guerra Mondiale e Nuova Resistenza, unificando tutto in un’unica grande opera di ampio respiro e sintetizzando il tutto con l’immagine dei droni, come ha detto lo stesso Bellamy, autore e compositore dell’intero album: “Per me, i droni sono metaforicamente psicopatici che permettono comportamenti psicopatici senza possibilità di appello. Il mondo è dominato da droni che utilizzano altri droni per trasformarci tutti in droni. Questo album analizza il viaggio di un essere umano, dalla sua perdita di speranza e dal senso di abbandono, al suo indottrinamento dal sistema per divenire un drone umano, fino all’eventuale defezione da parte dei loro oppressori.”

Il nuovo lavoro dei Muse (che ricordiamo essere composti oltre che da Bellamy anche da Chris Wolstenholme al basso e da Dominic Howard alla batteria) è una sorta di concept album che ripercorre la vita di un individuo che perde progressivamente la fede verso se stesso e la sicurezza di sè fino ad essere manipolato: quando l’individuo capisce che non ha più voglia di essere manipolato e che vuole essere libero, ecco che compaiono davanti a lui due scelte: reagire o farsi comandare per sempre.

Muse - Drones - Artwork
Muse – Drones – Artwork

Drones” è composto da 12 canzoni per quasi 53 minuti di musica e si apre con il singolo “Dead inside“, canzone ad effetto con la batteria a dettare il ritmo quasi fosse una marcia militare verso il futuro della band britannica. La guerra irrompe con “Drill Sergeant“, riarrangiamento da parte di Matt e Dom del famoso discorso del Sergente Hartman di “Full Metal Jacket” e prosegue con “Psycho“, un ritorno alla musica rock di dischi come “Absolution”, ritorno che si fa più presente con “Mercy“, anche se il letto di tastiere è quasi ipnotico durante la canzone ed abbraccia idealmente il nuovo corso musicale odierno.

Al centro del disco troviamo “Reapers“, il secondo pezzo più lungo del disco che si apre con un assolo pazzesco di Bellamy e che scivola tranquillo e carico fino al minuto 4’54’ quando irrompono sulla scena le sirene della guerra che si annuncia con “The handler” e con il suo giro di chitarra, cattivo il giusto. Il brano “JFK” contiene un campionamento dal discorso “The President and the Press” tenuto da John Fitzgerald Kennedy, campionamento che troviamo anche nell’inizio di “Defector“, forse il brano più piacevole del disco e che rimane più impresso per la sua melodia accattivante grazie ai riff di chitarra ed al gioco di sospensione della musica e che credo dal vivo renderà al massimo.

Le sirene della polizia annunciano “Revolt“, un brano che si inserisce bene all’interno del contesto del concept album ma che non aggiunge niente in termini di qualità al disco stesso se non portare verso la dolcissima “Aftermath“, voce e chitarra acustica in crescendo che colpisce dritto al cuore e che credo nei concerti porterà ad utilizzare molti fazzoletti bianchi. Il concept album termina con le ultime due canzoni, “The globalist” che paga molto alle atmosfere da vecchio spaghetti western inizialmente per poi virare verso la metà dei dieci minuti della canzone verso il disfattismo elegiaco in salsa rock con la parte finale che trae ispirazione da “Enigma Variations: Nimrod” di Edward Elgar e “Drones”, che trae ispirazione dal “Santo” di Giovanni Pierluigi da Palestrina. Un finale con un crescendo in musica colta, insomma.

Il giudizio su questo disco deve tenere conto di vari fattori: in primis molti speravano che i Muse facessero un ritorno al loro modo di fare rock, ma pare che dovremo ancora attendere per una nuova “Plug in baby”. Secondariamente, “Drones” è un album in un certo qual modo pretestuoso ed un paio di canzoni suonano dannatamente come riempitivi, senza dare quella spinta musicale ma inserendosi organicamente nel progetto di Bellamy, nel suo raccontare una storia. A livello musicale ci sono un paio di brani estremamente apprezzabili (“Defector” per il suo aspetto pop e “The Handler” per la sua primigenia cattiveria su tutti) ma il disco non supera nel complesso la sufficienza. La prova del nove ci sarà sicuramente dal vivo, ambito dove i Muse riescono a vincere a mani basse vista la loro naturale predisposizione ai concerti, ma nonostante questa rassicurante certezza “Drones” non riesce ad essere all’altezza nè dell’attesa che ha suscitato la sua uscita nè della storia dei Muse.

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