Nicola Piovani: “Cantabile”. La recensione

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Nicola Piovani - "Cantabile" - Artwork

Quando in Italia si parla di Nicola Piovani, molti con la mente vanno subito al film “La vita è bella” di Roberto Benigni, film con cui Piovani ha raggiunto una popolarità a dir poco mondiale grazie alla colonna sonora dello stesso, “Beautiful that way“, cantata magnificamente da Noa. Ma Piovani non è solo quella colonna sonora. E’ tanto altro. E’ una carriera vissuta tutta tra cinema e musica insieme a grandissimi interpreti, registi ed attori, lavorando sempre sulla musica e sulle emozioni, cercando di trasmettere quel qualcosa in più che solo la musica sa dare. Abbiamo già avuto modo di recensire “In Quintetto” e “Viaggi di Ulisse“, ora è il turno di”Cantabile“, un progetto discografico con cui si vuole  mettere a conoscenza tutto il mondo di quanto e cosa sia realmente Nicola Piovani, l’uomo, il musicista, l’uomo di spettacolo, il pianista. Il genio.

Cantabile“,  il nuovo disco del Maestro, serve, tra le altre cose, proprio a questo insieme ad altre cose, come spiega lo stesso Piovani:

Ho sempre ritenuto la canzone una forma musicale potentissima, come dimostra la storia della musica moderna, da Franz Schubert a Leonard Cohen, da Hugo Wolf a Paolo Conte, da Rossini a Cioffi-Pisano. La  canzone è altresì un genere difficilissimo, nel quale mi sono cimentato solo occasionalmente e con molta prudenza, quando lo richiedeva un’esigenza di sceneggiatura per un film, o un copione per il teatro. Ho sempre avuto un po’ di timore ad avvicinarmi a questa forma di composizione che richiede una grande capacità di sintesi espressiva: non è facile, in pochi minuti, affrontare, sviluppare e concludere un discorso poeticamente coerente,  tenendo in conto la metrica del testo e la cantabilità delle frasi.
Cantabile è il termine che musicisti come Mozart, Beethoven, Tchaikovsky apponevano, in italiano, alle loro partiture, accanto al termine andante, adagio, allegro, a indicare la cantabilità del brano strumentale. E così ho intitolato questo disco, che vuole essere un mio breve itinerario per i sentieri del canto leggero dalla romanza tenorile alla macchietta di varietà. Fra questi due estremi, ho giocato con alcune delle tante facce stilistiche che la canzone può assumere.
Fra un canto e l’altro, ci sono dei brevi intermezzi strumentali che si incaricano di guidare l’ascoltatore dalla tonalità del brano precedente a quella del brano seguente, per cercare di rendere meno brusco il salto stilistico a chi, bontà sua, vorrà ascoltare quest’album tutto di fila.   

Nicola Piovani - "Cantabile" - Artwork
Nicola Piovani – “Cantabile” – Artwork

In questo disco Piovani ha chiamato a raccolta un bel gruppo di cantanti, musicisti ed amici che gli danno manforte per tutta l’ora di ascolto, in un excursus di 22 canzoni che sono un viaggio compiuto da questo riccioluto pianista nel mondo del canto leggero italiano. L’introduzione è affidata alla bellissima voce di Giorgia e alla sua versione di “E lalabai“, una sorta di inquieta ninna nanna moderna, e nel corso del disco i nomi degli amici (perché posso dire che di amici si tratta vista la passione con cui cantano e suonano) si susseguono senza sosta, da Francesco de Gregori e la sua romantica e malinconica versione di “Alla fine della storia” a Gianni Morandi e Noa che cantano “Quanto ti ho amato“, canzone portata al successo da Roberto Benigni al Festival di Sanremo.

Nel disco troviamo tanti altri ospiti che hanno deciso di dare una mano al Maestro Piovani, da Peppe Servillo che si immerge nelle atmosfere da night-club di “Al Simboney” a Fiorella Mannoia che si trova perfettamente a suo agio col tango di “Vai col Treno“… e poi via via Giulio Tampalini, Giusy Ferreri, Jovanotti, Tosca, Fabrizio Bosso, Giovanni Sollima, Luisa Prandina, il Quartetto d’archi della Scala ed infine lui, Roberto Benigni, che chiude il disco con “Sorridi e vai“, un testo scritto sul tema della “Vita è bella”, una canzonetta in beguine in classico stile italiano, spensierata quasi quanto non dovrebbe, in un contesto dove tutto è tragedia.

Alla fine del disco rimane un po’ di amaro in bocca, perché la canzone finale lascia quel senso di vecchia canzone italiana, quella canzone bella da cinema, quella canzone che ci invidia tutto il mondo e che vorresti durasse di più. Quella canzone che non si ascolta tutti i giorni. Quella canzone che solo un Maestro ha trovato, in tempi musicali come questi, il coraggio di proporci.

 

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