Olafur Arnalds: “… And They Have Escaped The Weight Of Darkness”. La recensione

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Già da tempo ci siamo convinti che l’Islanda sia la nuova terra poetica ai margini dell’Occidente, la nuova Grecia. “Mondo bello, dove sei? Ritorna!” supplicava il poeta; e non è rimasto inascoltato. Se le musiche dei Sigur Rós e dei Múm ci avevano già convinto, le composizioni elettro-neo-classiche di Ólafur Arnalds ci possono sedurre definitivamente al suono nordico. Chi conosce i suoi primi lavori potrà notare una certa maggior organicità nella composizione musicale, un suono più coeso nelle sue parti rispetto agli inserti elettronici e alle campionature. Nell’ultimo disco di Olafur Arnalds “… And They Have Escaped The Weight Of Darkness” sono gli archi a farla da protagonisti: suoni lunghi, distesi, come fossero pieghe dispiegate.

olafur arnalds and they have escaped the weight of Darkness
Olafur Arnalds - And they have escaped the weight of Darkness - Artwork
Ma non si tratta affatto di un ritorno ad un suono più chiaro e pulito, più elementare o più classicista. Esemplare è l’ultima traccia “Þau Hafa Sloppið Undan þunga Myrkursins”, a cui fa riferimento la fuga del titolo del disco (in islandese significa infatti “Sono fuggiti oltre la pesante oscurità”), che si costruisce incastrando l’uno accanto all’altro blocchi di crescendo musicali: apre il pianoforte, gli archi allargano la traccia e poi a 2:13 ecco il primo inserto campionato che prende parte e si articola con la melodia fino ad arrivare a 2:57 con gli archi che letteralmente lasciano il passo ad una breve sezione ritmica in stile marcia accompagnata da timorosi e sibillini fiati.
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Olafur Arnalds
In “Loftið Verður Skyndilega Kalt”  la resa dell’improvviso raggelarsi dell’aria a cui fa riferimento il titolo (“L’aria fredda, improvvisamente“) si trasforma in una progressione verso il peggio cadenzata dall’intreccio tra piano e arco e dal concludere di questo su se stesso in un’atmosfera musicale inquietante. Ma credo che la cifra dell’album la riveli bene la terza traccia esibendo al contempo il lato vulnerabile del disco e la sua qualità sonora. “Tunglið” (“La Luna”) si apre molto semplicemente con un pianoforte insistente e con una piccola melodia che si ripete, per lasciare poi lo spazio all’arco. Il modulo è il medesimo che di continuo si ripresenta nel corso dell’ascolto del disco: la costruzione della composizione è progressiva e raggiunto un apice, poi scompare. Una ripetitività di questo genere difficilmente non può essere notata come anche difficilmente può essere casuale, per un artista polistrumentista molto attento ai particolari. La svolta a 1:59 della terza traccia, l’apice della composizione che questa volta si rovescia su se stesso introducendo un tema diverso, chiarisce la questione: quella che la musica prova a dipingere è un’avventura, una sfida, un percorso che deve portare al di là di un certo peso, di una certa gravità. Un’avventuroso percorso scandito nelle sue “stanze” e che quindi non può fare a meno di ritrovarsi, di stanza in stanza, a riprendere le forze, a ricominciare d’accapo a ripartire dall’immediato desiderio di fuggire passo a passo. La musica di Ólafur Arnalds è stata talvolta associata all’idea di un seducente progetto volto a mescolare suoni pop con melodie e composizioni classiche, ma credo che questo intreccio pop-classico non gli renda giustizia. Le sue composizioni, “… And They Have Escaped The Weight Of Darkness” lo dimostra chiaramente, non concedono niente allo stile e alla sonorità pop: nessuna parola supporta o elide la musica, la struttura dei moduli musicali ripetuta come nessun disco pop potrebbe permettersi… Un disco da ascoltare molto bene.

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