David Bowie: Black Star “★”. La recensione

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Nutrire continuamente il desiderio di cambiamento è la prerogativa di un artista come Bowie, e la sua fresca uscita “Black Star” targata 2016 non poteva non rispettare un tacito accordo stipulato all’inizio della sua carriera musicale.

Un’aura di mistero avvolge l’album “Black star“, partendo dallo stesso titolo fino ad arrivare alle atmosfere musicali in cui ci si immerge all’ascolto di queste sette tracce inedite. L’album non è composto da brani, ma è stato costruito con tante piccole suite sia per complessità che per durata, si tratta di momenti musicali complessi, di ascolti con più movimenti racchiusi in un’unica soluzione. Ad aprire l’ascolto è l’omonimo brano “Black Star“, perfetta rappresentazione di quello che sarà tutto l’album di David Bowie. Nervosa, cupa, imminente, mistica, è questa l’atmosfera in cui siamo improvvisamente immersi a soli pochi secondi dall’ascolto. Suonerà strano, ci troviamo in una dimensione ingombrante in cui non c’è da sentirsi benevolmente accolti, ma forse è proprio questo ciò che il Duca Bianco desiderava creare con la sua ventottesima fatica discografica.

David Bowie - Black Star © Comunicato Stampa
David Bowie – Black Star © Comunicato Stampa

Di paroloni come sperimentalismo e “avantgarde” il mondo della musica ne è pieno, andare oltre gli schemi musicali sembra essere diventato un comportamento ordinario per chi emerge con un nuovo lavoro musicale, ma per “Black Star” in quanto album si parla di pura ricerca evolutiva, Bowie ha trasposto in chiave jazz le sue ispirazioni, ne è evidente il tappeto fitto di fiati presente in tutto il disco, ce lo suggerisce il movimento sincopato che accompagna l’intero ascolto, il ritmo e l’improvvisazione, la costante pulsazione ritmica, ma non è un mistero, lo stesso Bowie ha scelto musicisti jazz per “Black Star“. Il Duca Bianco ci ha sempre abituati al continuo cambiamento, non a caso è una delle personalità più camaleontiche del mondo della musica, ma è riuscito sempre a cavalcare lo zeitgeist per genere, progresso e ispirazioni.

Un tipo di ricerca così approfondita non ci era capitato di ascoltarlo dalla trilogia di Berlino, definita dalla personalità più influente dello sperimentalismo musicale Philip Glassgrande opera di incomparabile bellezza“. Se il jazz è stato uno dei fenomeni più importanti dello scorso secolo la personalità più importante della musica dello scorso secolo non poteva non attingere alle sue ispirazioni per un lavoro discografico che si è prospettato sin dall’annuncio uno dei più importanti del periodo. Il jazz nasce dal popolo, nasce dal basso, ed è così che scorrendo il percorso di Bowie dagli anni 80 ci accorgiamo che il percorso evolutivo ha molto in comune con il genere musicale mettendo come termine ultimo “Black Star“: si parte dalla musica pop, dal fenomeno anni 80 per arrivare ad un 2016 colto, complesso, sofisticato e ingombrante, proprio come la musica jazz. Tutto torna, tutto scorre per riportare l’ordine nelle cose.

Come il jazz “Black Star” è da definirsi colto, non per tutti, ma sicuramente affonda radici nelle abitudini più semplici di una produzione musicale decennale desiderosa di fare il passo in avanti rispetto a ciò che era stato. Dopo l’inizio cupo e gotico l’ascolto si apre, “‘Tis a pity she was a whore“, un brano molto meno misterioso, ricco di fiati e di irregolarità ma tanto attuale e quasi legato alle origini di Bowie.

Black Star: il giudizio

Da un’accentazione ritmica incalzante si passa alla lentezza e alla semplicità di “Lazarus“, vero brano di punta di tutto “Black Star“. Scuro, gotico, drammatico e ritmicamente pulito il brano porta con sé tutto l’hype accumulato in questo periodo di uscita, non assolutamente ingiustificato, ma è stato inserito in una posizione d’ascolto perfetta, in quanto momento più accattivante e meno difficile per tutti, almeno per gusti musicali. “Sue (or in a season of crime)” si adagia tra i 160 e i 180 BPM, i tempi caratteristici della Drum’n’Bass, impeccabile frammento lontano da tutto ciò che avevamo ascoltato precedentemente. La chiusura del disco con “Girl loves me“, “Dollar Days” e “I Can’t give Anything Away” diventa molto più distesa, già ascoltata e sicuramente anche più apprezzata da chi si aspettava un logico seguito di “The Next Days“. Indubbiamente la differenza la fa la prima parte di disco, per la quale sarà sicuramente annoverato tra le uscite più importanti di quest’anno e del periodo.

Black Star” porta tutto il carico di un ritorno, è il secondo disco nel giro di 3 anni, dopo un decennio ed è il giusto momento da presentare, il giusto ritorno appunto, e la fatica non ingiustificata ma logica e precisa arrivata dopo una produzione musicale impeccabile.
La passione per la teatralità non ha mai abbandonato Bowie anche in un momento come questo, dove non ci sono parti da recitare ma una ricchezza sonora da raccontare.

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