Diodato: “Cosa siamo diventati”. La recensione

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È un peccato che poche persone conoscano in Italia Antonio Diodato, conosciuto semplicemente come Diodato, raffinato cantautore aostano di origini pugliesi che si è distinto nel corso di questi anni con artisti come Boosta e Daniele Silvestri e che ha dovuto cercare il primo successo in Svezia, a Stoccolma, partecipando ad una compilation lounge cantando con i DJ svedesi Sebastian Ingrosso e Steve Angello, che andranno a formare qualche anno dopo gli Swedish House Mafia. È un peccato perchè parliamo di un autore raffinato, molto ancorato alla tradizione canora classica italiana (ne è una prova il precedente disco intitolato “A ritrovar bellezza” nel quale sono presenti cover degli anni sessanta come “Eternità”, brano cantato dai Camaleonti e “Piove” di Domenico Modugno) e che da poco meno di un mese ha dato alle stampe il suo terzo disco, “Cosa siamo diventati“, anticipato dal singolo “Mi si scioglie la bocca” e prodotto dalla Carosello Records.

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Diodato – Cosa siamo diventati – Artwork

Diodato, che tra le sue influenze musicali più importanti ha citato Pink Floyd, Fabrizio De André, Luigi Tenco, Domenico Modugno e Radiohead, ha così spiegato all’ANSA il senso di questo suo disco: “È un disco nel quale racconto una storia finita nella quale però penso che possano ritrovarsi in tanti. E’ un lavoro in cui ho scavato, cercando di essere il più sincero possibile. Soprattutto con me stesso. Volevo fosse un disco che sapesse raccontare il freddo che abbiamo dentro, ma che lo facesse con calore. Perché la musica deve essere evocativa quando accompagna le parole. Ho lavorato a lungo a questo album perché volevo potesse essere una fotografia nitida del mio vissuto e della mia attuale visione musicale.
Ho cercato a lungo le parole giuste arrivando a scavare a fondo in un processo che talvolta, non lo nego, è stato anche doloroso. Volevo ci fosse tutta la verità, tutta la sincerità possibile. “Cosa siamo diventati” doveva rappresentarmi appieno e doveva anche essere un deciso passo in avanti rispetto ai miei precedenti lavori. Oggi posso dire d’essere davvero felice del risultato finale.”

Basta la prima canzone, “Uomo fragile“, per capire che quanto ha detto corrisponde al vero: un brano lento ma che mette alle strette, senza possibilità di scampo dalla mediocrità odierna e con un ritornello la cui grancassa colpisce allo stomaco come tantissimi pugni senza possibilità di schivata. Con la seconda canzone “Colpevoli” cambia lo stile ma non cambia il contesto nè il modo di parlare delle cose che fanno male e che rendono la nostra vita quella che è, senza filtri o protezioni, mentre con “Paralisi” il gusto musicale diventa ampolloso, teatrale, quasi gotico, come un vecchio salotto siciliano di inizio secolo dai cupi mobili in mogano e con un polveroso pianoforte appoggiato ad un muro.

Diodato, che anche per questo disco si è affidato al produttore Daniele “ilmafio” Tortora e alla sua band composta da Daniele Fiaschi (chitarre), Duilio Galioto (piano, organi e synth), Alessandro Pizzonia (batteria) e Danilo Bigioni (basso), a cui si sono aggiunti Fabio Rondanini, già batterista dei Calibro 35 e degli Afterhours, e il GnuQuartet che ha registrato archi e flauti per tre brani dell’album, non lascia nulla al caso, dosa parole e note come un moderno alchimista e disegna traiettorie musicali quasi magiche come quelle di “Fiori immaginari“, struggente canzone d’amore dal finale in crescendo. Il ritmo sale con “Guai“, brano dalle atmosfere western con inserti elettronici e chitarristici molto moderni, e dopo compare la title-track, brano inquieto con la musica che sembra venire dallo spazio profondo e che parla della fine di una relazione, di quel momento in cui ci si accorge che i sentimenti non esistono più e ci si chiede cosa sia successo, cosa abbia cambiato i sentimenti, cosa siamo diventati mentre non ce ne accorgevamo.

Mi si scioglie la bocca” è il singolo scelto per la presentazione del disco ed è sicuramente il brano più radiofonico del disco e più “pop”, per quanto sia possibile, di tutto l’album e che parla del primo innamoramento. Ad un tiro di schioppo troviamo “La verità“, pezzo che potremmo trovare in un disco degli Afterhours sia per costruzione musicale che lirica e che dimostra come Diodato sia cantautore maturo e capace di mutare la propria espressività senza perdere un briciolo di energia, mentre “Un po’ più facile” sembra una piccola pausa tra le mille emozioni provate in questo cammino musicale anche una canzone che parla di un uomo che aspetta che la donna torni a casa dopo aver fatto sesso con il suo amante per parlare della loro relazione rilassante non è per niente.

Il brano più pop del disco è “Di questa felicità“, dall’incedere addirittura estivo e quasi allegro (“Prendimi l’anima/ e dille come si fa/a non avere paura/ di questa felicità”) mentre “Per la prima volta” è forse la canzone più sincera e autobiografica di tutto il disco, un vero e proprio “j’accuse” verso se stessi e verso gli altri senza difese e scudi da poter alzare. L’ultima canzone è “La luce di questa stanza“, bellissimo pezzo che chiude degnamente questo disco.

Gran parte dei brani di “Cosa siamo diventati” è stata registrata nell’ex casa di Renzo Arbore (ora trasformata in uno studio di registrazione) in vere e proprie sessioni live e non la produzione ha cercato di mantenere questa sensazione, lasciando intatto quasi tutto, e il prodotto finale ne ha guadagnato in emozione. Il nuovo disco di Diodato chiede, anzi pretende un ascolto attento, con calma, ritagliando un attimo di tempo dalla frenesia quotidiana, ed è un elogio alla lentezza, con le canzoni che si dilatano negli spazi e che si muovono in perfetto equilibrio tra classico e moderno, mescolando musica d’autore, sperimentazione e rock con intelligenza e talento. È un disco sofisticato ma non ermetico, non ci sono parabole da decifrare, ci sono invece le parole dei dolori della vita di tutti i giorni cantate (anche se sarebbe meglio dire raccontate) dalla stupenda voce di Diodato che emoziona e colpisce. Questo disco è un piccolo gioiello che sa riflettere la luce e che sa inglobare il buio e che colpisce e lascia indifesi di fronte a tanta bellezza. “Cosa siamo diventati” è, in definitiva, un disco bellissimo.

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