Liam Gallagher: “As you were”. La recensione

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Saranno i miei quasi quarant’anni, il mio essere nato negli anni Ottanta o il mio essere cresciuto negli anni Novanta, ma gli Oasis e i Blur sono stati una colonna sonora importante della mia vita insieme a tutto il britpop, movimento che loro hanno sdoganato in tutto il mondo con capolavori come “Definitely Maybe“, “What’s The Story Morning Glory?” e “Be Here Now“.

Ho seguito dopo il loro scioglimento (con non molta passione, devo ammettere) le diatribe tra i due fratelli più litigiosi di Manchester, Liam e Noel Gallagher, cercando di soffermarmi molto di più sui loro progetti musicali, i Beady Eye per il primo e i Noel Gallagher’s Flying High Birds per il secondo, che tra alti e bassi hanno comunque sfornato alcune canzoni molto belle. Quando mi hanno parlato di “As You Were“, disco d’esordio come solista di Liam Gallagher, devo ammettere che ho storto per un attimo il naso, pensando al solito disastro in salsa discografica fatto per raggranellare soldi e per sfruttare l’effetto nostalgia. E mi sbagliavo alla grande. Caspita quanto mi sbagliavo.

L’uscita del disco è stata anticipata dalla pubblicazione dei singoli “Wall of Glass”, “Chinatown”, “For What It’s Worth” e “Greedy Soul” e già solo i singoli facevano capire come il disco fosse basato su molte influenze anni ’60 e ’70 riviste, aggiornate e adattate ai nostri tempi, filtrate anche dal suono britpop che ha da sempre caratterizzato gli Oasis. Anche la scelta del titolo del disco, “As You Were” non è casuale: trae il nome da un’espressione del gergo militare (il nostro “rompete le righe“) che Gallagher usa abitualmente in chiusura di ogni suo post su Twitter e che è diventata una sorta di mantra per Liam che è tornato a fare musica e a cantare canzoni, che poi abbia successo o no.

Il disco vede nella copertina un’immagine in bianco e nero di Liam Gallagher scattata dal celebre fotografo, fashion designer e direttore creativo Hedi Slimane e contiene al suo interno dodici canzoni, frutto della collaborazione di Gallagher con i produttori Greg Kurstin e Dan Grech-Marguerat. Si parte con “Wall of Glass“, un brano scandito dalla armonica e dalla chitarra elettrico aggressiva ma che si incolla al cervello come sono alcune canzone degli Oasis sapevano fare, e si prosegue con “Bold“, brano che celebra la passione di Liam per le atmosfere degli anni Sessanta e Settanta così pesantemente influenzate dal sound dei Beatles.

Cover 1
Liam Gallagher – “As you were” – Cover

Con “Greedy Soul” che, come “You Better Run“, celebra la passione di Liam per il rock e “Paper Crown” che ricorda molto da vicino le ballate anni Settanta che partivano solo voci e chitarra per poi irrobustirsi nel prosieguo della canzone, si arriva a “For What It’s Worth“, altro pezzo di punta del disco che sembra sfornato proprio dal periodo d’oro degli Oasis, ricco com’è di quella orchestrazione che tanto piaceva ai ragazzi di Manchester.

La partenza lo-fi di “When I’m in Need” non deve trarre in inganno, è un brano autenticamente da figlio dei fiori dove Liam può sfogare la sua passione per il tamburello e per i cori quasi psichedelici: altro discorso invece bisogna affrontare per “I Get By“, brano tambureggiante che incalza e insegue l’ascoltatore anche grazie ai suoi riff di chitarra così tagliati e precisi fino alla gelida “Chinatown“, canzone quasi fuori contesto nel disco per quanto sia gelida, dolce e tremenda.

Subito dopo ci pensano “Come Back to Me” con il suo rock sghembo e carico, sporco e pieno di vibrazioni anni Settanta alla Bob Dylan (anche nella voce) e “Universal Gleam” con la sua atmosfera quasi natalizia a rimettere a posto le cose prima del brano finale, “I’ve All I Need“, che fa da quadra del cerchio di tutto il disco.

Il disco di esordio da solista di Liam Gallagher ha venduto nella sua prima settimana 103.000 copie tra dischi fisici e download digitali e 16.000 vinili, diventando il disco più venduto in Inghilterra dal 1997, e questo dovrebbe dirla lunga sulle attese e sulla bontà del disco che abbiamo di fronte. “As You Were” non è altro che la riarticolazione dell’ossessione di Liam per gli anni Sessanta e Settanta modulata e affinata dalla presenza di Greg Kurstin e Dan Grech-Marguerat come produttori che hanno saputo tenere a bada la sua voglia di vagare e affinare le sue capacità. Questo è il miglior disco di tutta l’ultima decade dopo la rottura degli Oasis e mostra un Liam Gallagher nuovo, un cantante più ricco e più educato musicalmente di quello che faceva parte degli Oasis che però ha conservato il suo carisma ed è riuscito a inserire nei suoi dischi anche il calore del rock e una punta di elettronica mostrando, a differenza del fratello, una maggiore vivacità intellettuale e una più spiccata predisposizione alla narrazione e alla mescolanza dei generi. In soldoni? Un gran bel disco.

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