Ariana Grande: “Sweetener”. La recensione

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A distanza di due anni dal precedente “Dangerous Woman“, Ariana Grande ha pubblicato il suo quarto disco in carriera, “Sweetener“: la produzione dell’album è stata affidata principalmente ai produttori Max Martin e Pharrell Williams, e la cantante ha collaborato alla scrittura di ogni canzone.

Il disco arriva dopo un momento particolare per la cantante nativa di Boca Raton, gravemente colpita da un attentato terroristico avvenuto dopo la tappa di Manchester del suo “Dangerous Woman World Tour“, un evento che la stessa artista aveva dichiarato aver avuto un forte impatto sulla sua persona e che aveva portato al concerto di beneficenza intitolato “One Love Manchester“, al quale aveva invitato a partecipare artisti di primo piano della musica pop internazionale.

“Sweetener” avrebbe dovuto essere, almeno stando alle dichiarazioni dell’artista, un disco nato soprattutto per segnare una sorta di “evoluzione” e per rendere più dolce una situazione difficile, portando in qualche modo serenità nella vita di qualcuno, come quella vissuta dalla Grande lo scorso maggio. Per questo, la cantante si è affidata a una larga schiera di produttori, Pharrell Williams e Max Martin in testa, che ne hanno pesantemente influenzato la riuscita finale, almeno a nostro avviso.

L’album parte con la traccia acustica “Raindrops (an angel cried)” che mostra subito la capacità vocale e la potenza di Ariana (come se ne avessimo bisogno) ma subito dopo troviamo la prima delle tre collaborazioni del disco, ovvero “Blazed” cantata in coppia con Pharrell Williams, e la canzone non ha al suo interno nessun elemento nuovo o che la faccia distinguere dalle altre. Segue poi il secondo featuring, quello con Nicki Minaj per il singolo “The Light Is Coming“, onestamente uno dei brani meno riusciti forse non solo di questo disco ma anche di quelli precedenti. Dopo la canzone “R.E.M“, senza infamia e senza lode, per fortuna arriva il secondo singolo “God Is A Woman” che permette ad Ariana di sfoderare la sua voce con un brano R&B dalle venature Soul.

Sweetener Artwork
Ariana Grande – “Sweetener” – Cover

Sweetener“, la canzone che dà il titolo all’album, ritrova la presenza di Pharell Williams ma questa volta più discreta e meno invasiva e dopo il brano “Successful” si apre quella che può essere considerata la parte migliore del disco: “Everytime” è un brano dove la voce di Ariana si staglia su una struttura trap, “Breathin” richiama quasi la dance (e forse sarebbe stata anche migliore senza voce effettata) e “No Tears Left To Cry” è un brano molto particolare, quasi in upbeat (con un bellissimo video).

Con “Borderline” si chiudono i featuring e questa volta c’è la regina della musica rap, Missy Elliot, per quella che è la migliore collaborazione del disco a mani bassissime: dopo la lentissima “Better off” e “Goodnight and go” che purtroppo non hanno il dono di rimanere impressa troviamo la breve ma intensa “Pete Davidson“, una dedica al suo compagno di vita. Il disco si chiude con “Get well soon“, dove Ariana mostra tutta la sua capacità di gestire la voce, lasciando nel finale della canzone circa 30 secondi di silenzio dedicati alle vittime dell’attentato di Manchester.

Come detto nella presentazione, “Sweetener” aveva probabilmente due obiettivi: il primo era quello di indirizzare la carriera di Ariana verso una nuova strada che intercettasse le nuove tendenza della musica mondiale, il secondo era quello portare un pochino di sollievo a se stessi e agli altri dopo i gravi fatti dell’anno scorso. Se è riuscita, a nostro avviso, nel secondo punto, temiamo non sia riuscita nel primo: ci sono troppe mani dietro a questo disco e alla fine ne esce fuori un album che è lontano parente del precedente dove il pop, l’R&B e il soul la facevano da padrona, rimanendo su quasi un’unica linea musicale, tranne qualche eccezione. Non si discute e non si può discutere la voce della Grande, voce che l’ha fatta entrare nell’Olimpo della musica pop e che la ha concesso la possibilità di sfornare featuring a iosa, ma le canzoni sono spesso poco incisive, senza grinta, senza mordente, senza quel motivo tale per essere ricordate. Insomma, un disco che ci costringe alla sufficienza e a nulla di più.

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